Capitolo 21

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Se qualcuno avesse guardato attentamente, avrebbe senza dubbio notato il solco dei miei piedi impresso sul pavimento di fronte all'ufficio di Grimaldi.

Erano le nove e mezza, ero in ritardo e i miei piedi non riuscivano a smettere di fare avanti e indietro nel corridoio. Una parte di me bramava il tempo che io e Grimaldi avremmo trascorso a stretto contatto quel giorno per via di alcune pratiche, un'altra parte desiderava che quella fosse una giornata noiosa come tutte quelle che avevo dovuto passare nel mio ufficio in solitudine.

Cosa sarebbe successo una volta varcata quella porta? Avremmo provato imbarazzo? Sarei riuscita a guardarlo negli occhi? Non ne avevo la più pallida idea. Potevo contare su una cosa sola: sull'importanza che Grimaldi dava alla puntualità. Mi riprendeva di continuo ogni mattina per quel leggerissimo ritardo che avevo e non si era mai proposto di darmi un passaggio in macchina per evitare che accadesse, nonostante vivessimo nello stesso appartamento.

Quella mattina avevo non dieci, ma più di trenta minuti di ritardo. La mia mancanza di rispetto per la puntualità avrebbe risolto ogni problema.

Bussai alla porta e la aprii di qualche centimetro prima che la voce di Grimaldi mi desse il permesso di entrare.

«Buongiorno» dissi entrando nella stanza e richiudendo la porta alle mie spalle. Grimaldi era seduto alla scrivania evidentemente concentrato e, quando sentì la mia voce, sembrò destarsi da tutto quello che stava facendo.

«Buongiorno» rispose con un sorriso a fior di labbra.

Non stava indossando la giacca, come faceva di solito, e le maniche della camicia erano già arrotolate fino ai gomiti, nonostante fosse ancora così presto.

Grimaldi si alzò dalla sedia, venendomi incontro. I miei occhi dovettero fare uno sforzo enorme per non squadrarlo mentre si sollevava dalla sedia e faceva il giro della scrivania.

«Lo so» dissi quando si fermò davanti a me. «Sono in grande ritardo» affermai, tentando di non lasciarmi trascinare dal flusso dei miei pensieri. Fammi una scenata, pensavo intanto. Ti prego, riprendimi, rimproverami, ma non guardarmi così.

«Non importa» disse lui, con un sorriso sulle labbra che gli illuminava ancor di più gli occhi.

«Come?» dissi spiazzata. Dovevo avere un'espressione davvero scioccata, perché il suo sorriso increspò maggiormente le sue labbra. Le sue labbra. Sembravano così morbide. Deglutii, distogliendo lo sguardo come un fulmine e puntandolo sulle mie scarpe. «Non può non importarle» aggiunsi senza alzare lo sguardo. «Lei non sopporta che io arrivi in ritardo.»

Improvvisamente, nel mio campo visivo entrò un altro paio di scarpe e il mio cuore sobbalzò nel petto, facendomi accelerare i battiti per la nostra vicinanza.

«Forse è meglio se ci diamo del "tu"» disse ignorando il contenuto delle mie parole. «Tra poco saremo marito e moglie dopotutto.»

Sollevai di scatto lo sguardo, sorpresa dal fatto che aveva pronunciato le parole "marito e moglie" senza irrigidirsi come aveva fatto fino a quel momento. Come entrambi avevamo fatto fino a quel momento.

«Del tu?» chiesi guardando i suoi occhi. Il mio cuore non sembrava avere intenzione di rallentare e lentamente si stava creando la stessa atmosfera del giorno prima. Stavo lentamente iniziando a sperare che si avvicinasse di più, che posasse di nuovo la sua mano sulla mia guancia, che potessimo riprendere da dove eravamo stati interrotti il giorno prima. La tensione dovuta al mio senso di colpa stava lasciando posto alla voglia di stare il più vicino possibile a lui.

«Io posso darle del "tu"?» mi chiese con un sorriso timido e speranzoso. Ma perché doveva rivolgermi quel tipo di sguardi? Non aveva il minimo bisogno di farmi annebbiare il cervello più di quanto non stesse già facendo involontariamente.

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