Capitolo 38

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<< Tu hai avuto anche il coraggio di portare qui una delle tue puttane, cazzo. >>

<< Io non sapevo che ci fossi tu con la tua ragazza, se ne fossi stato a conoscenza... >>

Si agita esasperato << Cosa? Se ne fossi stato a conoscenza cosa? Avresti scopato su un letto in un hotel? >>

<< Capisco la tua rabbia ma stai esagerando con il linguaggio. >>

<< Io? Io sto esagerando? Questo chalet è di proprietà della mamma, cazzo. Tu non hai alcun diritto di presentarti qui e fare i tuoi festini. Fai schifo! >> sputa con tutta la rabbia che ha in corpo.

<< E tu, invece, sei qui perché? Non vuoi forse portarti a letto questa bella ragazza e poi scaricarla il giorno dopo sotto casa sua? Non sei qui per aggiungere un'altra alla tua collezione? >>

<< Sta zitto, tu non hai diritto di parlare. >>

La sua reazione mi spaventa. Non tanto perché non ha confutato la tesi del padre, dal momento che so per certo quale sia la ragione per cui siamo qui insieme, ma perché non credo manchi molto al livello successivo. Quel volto io lo conosco, ed è quello che annuncia lo scadere del tempo. Niente parole, solo fatti.

<< In fondo siamo uguali. Lo siamo sempre stati. >>

Ed ecco che si scatena la furia.

Cole carica un destro che colpisce suo padre in pieno viso e, come se non ne avesse abbastanza, lui continua a propinargli bugie su quanto, in realtà, la mela non sia caduta lontano dall'albero. La biondina si è seduta su una poltrona, non curante del fatto che a pochi metri da lei, proprio sul tappeto, quello che sarebbe il suo uomo sta combattendo con suo figlio e, nonostante sia più robusto, sta perdendo.

<< Cole, ti prego basta! >> urlo ma il mio messaggio non viene recepito.

<< Per favore, fallo per me! >> una lacrima mi riga il volto, vedendolo avventato così, contro suo padre, pronto a sfogare tutta rabbia che ha in corpo. L'ha repressa per troppo tempo ed è la stessa che lo spinge ad annullare tutto e concentrarsi solo sull'oggetto dei suoi pugni. Non mi ascolta e continua, fino a che, per una frazione di secondo, incontra il mio sguardo.

Si ferma. Resta immobile a guardarmi mentre i suoi occhi si addolciscono. Si alza dal pavimento ed io gli corro incontro, gettandogli le braccia al collo. Lo stringo forte a me, placando i singhiozzi e godendomi il contatto. Lui mi lascia fare, sottostando ad ogni mio gesto.

Il signor Smith si tira su, con un taglio sulla guancia che gronda di sangue. Nella sala cade il silenzio ed io mi sento fortemente impotente, visto che vorrei dire o fare qualcosa ma non so proprio cosa. Vorrei riavvolgere il nastro e cambiare il passato. Il suo, il mio. Vorrei fosse cresciuto in un ambiente migliore, con un padre presente e amorevole, proprio come il mio.

<< Ehi, dimmi qualcosa. >> lo esorto.

Svogliatamente sussurra << Andiamo di sopra. >>

Poi passa all'uomo che ci ha scombussolato i piani << Vi voglio fuori di qui. Ora. >>

Lui non dice niente, si limita a fare un cenno con il capo.

Intraprendiamo le scale e ci fermiamo nella sua stanza. Il letto è nelle condizioni in cui lo avevamo lasciato e la tv ancora accesa.

Afferra il telecomando e la spegne, poi si toglie la felpa, restando solo con i pantaloni della tuta grigi.

<< Non guardarmi così. Succede sempre, ogni volta che lo vedo. >> afferma, alludendo probabilmente alla lotta avvenuta in salotto.

<< Oh >> non so che altro dire.

Apparently, I hate youWhere stories live. Discover now