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-Tesoro, io vi lascio soli. Avete tanto da dirvi.- mia mamma uscì dalla stanza, mentre io ero ancora pietrificata. Mio padre. Il mio stomaco non sbagliava a contocersi paurosamente. Mi misi a fissare l'orologio, che in quel momento segnava le tre e qualcosa.
-Sei cresciuta.- ruppe il silenzio, guardandomi bene.
-E tu ti sei messo a posto, come vedo.- sibilai acida, verso l'uomo che avevo davanti.
-Amanda, sono qui per un motivo valido, e non per litigare.- si schiarì la voce, mentre i miei occhi freddi lo guardavano distaccati. -Voglio riparare ai miei errori, ho capito di aver sbagliato e mi dispiace.- cominciò cauto. Iniziarono a prudermi le mani, mentre un vomito di parole mi percorreva piano la gola.
-Picchi tua figlia di nove anni e poi pretendi il suo perdono?- era impossibile fermare quel mare di emozioni.
-Amanda, ascoltami.- il suo accento francese fece capolino in cucina.
-No, ora te ne stai zitto tu e ascolti me. Sai quanti psicologi ho dovuto far passare? Sai quante medicine ho dovuto ingerire per passare sopra ai tuoi maltrattamenti? Sai che non dormivo di notte a causa di forti attacchi di panico, superati solo da poco tempo? Questo lo sai? Mamma era distrutta, Ryan anche, e io ero sottoposta a cose che una bambina non dovrebbe nemmeno conoscere! Attacchi di panico, depressione, anoressia! Te ne rendi conto?! Hai rovinato la mia vita, chiamarti papà per me è solo una bestemmia!- urlai, mentre le lacrime venivano a galla. Erano questi i buchi neri di Amanda Colson, profondi e senza via d'uscita.
-Mi dispiace così tanto Amanda, io.. Io sono cambiato.- sospirò, e per poco vidi del lucido nei suoi occhi.
-Dicevi così anche mentre ce ne stavamo andando.- risi falsamente, incrociando le braccia al petto. -Senti, cosa vuoi da me? Cosa vuoi da mia mamma?- andai dritta al punto. Mi sentivo come una bomba sul punto di esplodere. Toccavi un filo sbagliato, solo uno e.. Pum. Ma dovevo stare forte, per Ash. Ero la sua roccia, e le roccie non si infrangono così.
-Io voglio portarti con me in Francia, a Parigi.- sputò secco. Il cuore si fermò in petto, mentre vidi tutto fermarsi. Non me ne sarei andata, non con lui.
-Puoi anche cancellare questa idea, Joseph.- mia mamma irruppe in cucina, cincendomi con le sue mani la spalla. Lei era la mia vera roccia.
-Helena, stanne fuori. Ho intenzione di prendere la custodia di Amanda.- l'uomo si alzò, poggiando le mani al tavolo. Le lacrime salirono in un tempo da record, mentre uno strano dolore si impossessava del mio petto. Era questa la mia casa, e per quanto amassi Parigi, io volevo restare a Sydney.
-Ho i documenti, tu non puoi avvicinarti a lei. Lo capisci questo?- gli occhi di mia mamma lo guardavano in maniera sprezzante, e la capivo. Se la nostra vita era un inferno, era tutta colpa sua. -Non credo vorrai metterti contro la legge ancora una volta.- continuò, impassibile. Strinsi la mano a mia mamma, sentendo le sue dita calde attorno alle mie.
-C'è scritto che le festività può passarle con me, Helena.- tuonò mio padre. -Sappi solo che non mi arrenderò facilmente.- concluse.
-Amanda non vuole vederti, questo lo capisci? L'hai distrutta Joseph, se solo avessi potuto vederla, se solo..- lasciò la frase a metà, voltandosi e lasciando libero un singhiozzo. Circondai il suo collo con le mie braccia, stringendola a me. Il petto mi faceva male, un male che una coltellata pareva una sciocchezza. Vedere mia mamma così, per colpa mia, era peggio di cadere da un palazzo e rompersi tutte le ossa.
-Calma, va tutto bene.- le sussurrai, quasi a convincere più me che lei.
-Joseph, puoi anche andartene ora.- mi rivolsi all'uomo che stava analizzando quella scena con attenzione.
-Dammi una possibilità.- quasi supplicò.
-Un'altra volta. Non osare presentarti più qui senza preavviso, sono stata chiara?- mia madre alzò la testa, gelando mio padre. Se ne andò, sbattendo la porta.
-Come stai?- sospirò, stringendomi la mano.
-Scusa se ho fatto tardi, è che stavo dormendo e.. Scusa.- abbassai il capo, scuotendolo piano.
-Che sciocca, non devi nemmeno pensarle certe cose. Amanda, non ne hai colpa.-
-Lo so, ma lasciarti sola con lui..- torturai le mie povere dita. -Vai a riposare, sarai stanca dopo la nottata.- le carezzai il viso. Dopo avermi abbracciata, salì le scale, chiudendosi la porta alle spalle. Mi buttai sul divano, stanchissima. Non appena chiusi gli occhi, la stanchezza prese il sopravvento, e nonostante le tante ore che avevo dormito, mi addormentai.
Una fitta alla testa. O forse due. Aprii piano gli occhi, sentendo la testa dannatamente pesante. Solo ora mi ricordai di dover chiamare Ash. Presi il telefono e una volta sul divano composi il suo numero.
"Dimmi che stai bene." disse, a manetta.
-Sto bene.- risi appena, sentendolo tirare un sospiro di sollievo.
"Era tuo padre, vero?"
-Si, era lui.- sentii un colpo al cuore a sentire la tristezza nelle parole di Ash.
"Che ti ha detto?" secondo sospiro. Mi accasciai meglio sotto alla coperta, e gli raccontai tutto.
"Pensa davvero di portarti in Francia?!" esclamò, mentre nascondevo i singhiozzi.
-Non può nemmeno avvicinarsi a me, io non mi muovo da qui.- dissi sicura. Passai la manica della camicia sulla guancia bagnata, ma non volevo farmi sentire da lui. Sarebbe stato troppo male, e gli volevo un bene dell'anima. Vederlo stare male mi distruggeva.
"Ci sentiamo dopo piccola, e ricorda di stare..?" chiese, facendomi sorridere.
-Forte.- risi, tirando su con il naso.
"Brava piccola." rise, dall'altra parte della cornetta.
-A dopo, Ashy.- gli mandai un bacio. E non appena poggiai il telefono sul tappeto, scoppiai a piangere. Sfogarmi con Ash sarebbe stato crudele, non avrei mai voluto fargli pesare i miei problemi. Mi coprii il viso con le maniche, mentre le lacrime non volevano saperne di fermarsi.
"
-Ma ciao Amanda!- la figura di mio padre sorridente si materializzò davanti a me, mentre poggiavo lo zaino a terra. Barcollava, tenendo una bottiglia verde in mano. Mamma mi aveva detto che papà a volte beveva cose che lo cambiavano, e noi dovevamo aiutarlo. Mi ricordai di come mamma l'aveva aiutato una volta, e forse potevo essergli utile.
-Papi, posa la bottiglia. Bere non fa bene.- gli dissi, avvicinandomi.
-Non mi dici quello che devo fare o non devo fare, chiaro?- nemmeno il tempo di aprire bocca, che un rumore secco si espanse nella stanza. Mi portai una mano alla guancia rossa e pulsante, mentre i miei occhi si velavano di lacrime amare.
-Ma papi..- cercai di dire, ma lui mi tirò un pugno nello stomaco. Dolore. Lacrime. Perchè lo faceva a me? Cosa gli avevo fatto di male?
"
Urla, grida e pianti. Era quella la prima volta che mio padre mi picchiò. Nella mia mente si apriva di nuovo quel buco, quel buco nero che riusciva a inghiottirmi completamente. Non pensai ad altro, se non a chiamare lui. L'ira era scomparsa, avevo bisogno solo delle sue braccia, dei suoi baci, della sua voce. Primo squillo. Secondo squillo. Terzo squillo.
"Pronto?" mi beai di quella voce metallica. Dalla mia bocca uscirono solo singhiozzi, soffocati dalla poca aria. "Amanda! Che cazzo succede?!" esclamò, allarmato.
-Luke, ti prego.- dissi, tra un singhiozzo e l'altro.
"Dimmi, cosa c'è?" sentii una porta sbattere violentemente, mentre un colpo d'aria si percepì anche via telefono. "Ascoltami, sei a casa?" domandò, mentre un po' di affanno si formava nella sua voce.
-Sono a casa.- quasi sbiascicai, mentre la testa cominciava a farmi male.
"Non muoverti, aspettami lì." ordinò, per chiudere la chiamata. Mi accasciai con le ginocchia ai piedi del divano, mentre le lacrime non volevano smettere di rigarmi il volto. Che avrebbe pensato Luke non appena mi avrebbe vista in quello stato? Ero a pezzi, e credo che ormai era intuibile, ma non avevo mai pianto così tanto in vita mia. Passarono pochi minuti, quando il campanello suonò. Con la poca forza che avevo, andai ad aprire la porta, pensando al ragazzo che vi era dietro di essa. Pensando che dietro a quel pezzo di legno vi erano due spiragli sul cielo, pensando che dietro quel pezzo di legno vi era il sorriso che rischiava sempre di farmi bestemmiare, perchè troppo bello. Ma non appena aprii, sentii le gambe cedere, mentre una fitta mi colpiva alla testa.
-Porca puttana.- imprecò, afferrandomi sotto le braccia. Non mi reggevo in piedi, avevo le forze sotto al mio limite.. ma Luke era lì. Mi sollevò a mo' di principessa, permettendomi di rannicchiarmi contro il suo petto. Soffocai altre lacrime nel suo maglione scuro, mentre lui chiudeva la porta e si dirigeva in salotto.
-Stai calma, ci sono io adesso.- sentii un sussurro arrivare al mio orecchio, dolce. Mi fece appoggiare sul suo petto, mentre giacevo sulle sue gambe. Passai così dieci minuti buoni, con Luke che tenteva di calmarmi e io che cercavo l'autocontrollo che avevo perso parcchio tempo fa, a quanto pare. Solo quando i miei polmoni tornarono a respirare correttamente, potei calmarmi del tutto. Il silenzio era palpabile, ma non pensavo ad altro che ai battiti accellerati del biondo, che mi stava accarezzando la schiena, per cercare di calmarmi.
-Ma che è successo?- porse il suo sguardo ai miei occhi rossi e gonfi, persi nel vuoto.
-Mio padre.- dissi solo, opprimendo una lacrima. -E' tornato, e vuole portarmi via con lui.- mi immersi nel blu profondo dei suoi occhi, che spalancati mi guardavano increduli.
-Cosa?! No, non te ne puoi andare, come faccio io dopo? E i ragazzi?-
-Luke, non me ne andrò.- sussurrai, giocando con il suo maglione.
-E allora perchè piangevi?-
-Ti ricordi i periodi bui? Te ne ho parlato al parco, mi sembra.- cominciai. Forse parlarne era il primo passo.
-Si, ho presente.- mi incitò a continuare.
-Vedi, è tutto determinato da cose successe in Francia, prima che mi trasferissi qui.- non avevo la forza per reggere quello sguardo così bello e potente, ero fin troppo debole. -Mio padre ha cominciato a picchiarmi quando avevo nove anni.- liberai la bomba. Sentii Luke irrigidirsi di colpo, mentre io mi mettevo in parte a lui.
-Lui.. Picchiava te?- la sua voce era incredula, mentre la mascella rimaneva spalancata. -Ti ha toccato ancora oggi?- chiese di getto. I suoi occhi azzurri si fecero cupi, mentre si vedeva benissimo che si era irrigidito parecchio, forse infastidito da quell'informazione.
-No, ma è intenzionato a ottenere il permesso di vedermi nelle festività.- giocai con le mie dita, mentre Luke mi ascoltava. -Vederlo oggi è stato orribile, porca puttana.- imprecai, mentre le mie dita venivano catturate da quelle del biondo.
-Forse non posso capire, dato che non ho mai conosciuto mio padre. Ma posso solo immaginare come ti sentivi, o come ti senti ora.- sospirò, carezzandomi la mano.
-Non.. Non hai mai conosciuto tuo padre?- chiesi, con un groppo in gola.
-Morì quando avevo poco meno di un anno.- lo vidi sorridere amaramente. -Ma non cercare di cambiare discorso.- mi ammonì, con tono giocoso.
-Non so cosa potrei dirti d'altro, non è successo un granchè oggi.- abbassai la testa, mentre le ginocchia venivano a contatto con il mio seno.
-Una cosa c'è.- alzò lo sguardo, incrociando il mio interrogativo.
-Cosa?- incarnai un sopracciglio, guardandolo dubbiosa mentre si avvicinava a me.
-Perchè hai chiamato me?- persi vari battiti a quella domanda. Perchè lui? Forse non lo sapevo nemmeno io.
-Sei la prima persona che mi è venuta in mente.- dissi con tono timido.
-Dopo che litighiamo, ti vengo solo io in mente.- rise piano, facendomi abbassare lo sguardo verso i miei piedi, davvero tanto interessanti in quel momento.
-Che strano, vero?- feci la finta stupita, mentre lui rideva ancora.
-Parlo davvero.- mi carezzò la mano, facendomi rabbrividire energicamente. Dovevo dirglielo? Dirgli che i suoi occhi sapevano calmarmi più di ogni cosa? Dirgli che la sua risata mi faceva stare bene?
-Perchè avevo bisogno di te.- sussurrai, coperta dai capelli che mi solleticavano le guancie.
-Che hai detto?- sbarrò gli occhi, esterefatto.
-Luke, hai capito.- intrecciai il blu dei suoi occhi con il verde dei miei, ed era come buttarsi da una scogliera e cadere nel vuoto, sentendoti libera. Veramente libera.
-No, ma potresti farmelo capire in un altro modo.- mi mancò il respiro non appena lo vidi avvicinarsi piano, i suoi occhi passavano dai miei pozzi verdi alle mie labbra.
-Tu dici?- chiesi incantata dalle sue labbra semi chiuse, che avanzavano sempre più velocemente verso le mie. Non appena il suo respiro sfiorò il mio viso, sentii un brivido partirmi dalla schiena, e arrivare fino alle punte delle dita. E quel brivido era tanto forte, che le sue labbra dovettero fermarsi a metà strada, soffocate dalle mie. Salii a cavalcioni sulle sue gambe, mentre le mie mani vagavano dalle sue guancie al suo collo. Ero fottutamente in astinenza da Luke Hemmings. Non possedevo le sue labba da quasi due giorni, era troppo per un cuoricino delicato come il mio.
-Per una volta che provo a fare qualcosa di dolce, tu devi rovinare tutto con il tuo lato rude.- ghignò, con voce terribilmente roca e sexy.
-Stavi provando a fare qualcosa di dolce? Tu?- alzai le sopracciglia, staccandomi di poco.
-Ebbene si, le eccezioni ci sono sempre.- fece il finto offeso, facendomi ridere.
-Okay, allora vediamo questa cosa tanto dolce.- mi alzai dalle sue gambe, sistemandomi la camicia. Mi guardò per pochi secondi, e non appena lo vidi alzarsi pensai veramente che quel ragazzo era troppo alto. Che palle. Avanzò verso di me, piano, mentre io indietreggiavo con un sorriso furbo dipinto in volto. Il muro del salotto segnò la mia meta, mentre il corpo di Luke si fermò non appena venne a leggero contatto con il mio seno. Ehi, aspetta un attimo: non era lui che mi si spalmava addosso non appena ne aveva l'opportunità? Lo guardai interrogativa.
-Dolce. Ricordi?- abbozzò un sorriso quasi imbarazzato, mentre avvicinava il suo viso al mio. Non appena il suo respiro caldo mi si scagliò in viso, sentii ancora quel battere doloroso del cuore. Pompava davvero forte, e per me era strano, quasi doloroso. Sentii le mani di Luke poggiarsi sui miei fianchi, carezzandoli delicatamente. A quel tocco le mie braccia si riempirono di pelle d'oca, fortuna che avevo la camicia addosso. I suoi polpastrelli sulla mia pelle era qualcosa di fantastico, non riuscivo nemmeno a spiegarmi come un solo tocco potesse darmi quei brividi, quelle emozioni.. Il suo naso sfregò contro il mio, mentre un sorriso si dipingeva involontariamente sul mio viso.
-E' dolce abbastanza?- soffiò sulle mie labbra.
-Si, ma sta diventando snervante. Mi baci si o no?- chiusi gli occhi, sentendo una mano sfiorarmi la guancia.
-No.- sentii un vuoto davanti a me, e non appena aprii gli occhi vidi Luke che stava ridendo.
-Oh ma sei un bastardo però.- incrociai le braccia al petto. Ma io ne avevo bisogno, era scandaloso il modo in cui volevo quelle labbra che sembravano urlare il mio nome anche in arabo. Luke si fermò a rispondere a un messaggio, e solo guardando le sue spalle larghe mi venne in mente un'idea fantastica. Presi bene la rincorsa, e con una piccola spinta salii in spalle al biondo, che apparse parecchio spaventato dal mio gesto.
-Che vuoi fare, piccolo koala?- rise, attorcigliando le sue braccia sotto le mie ginocchia.
-Prendermi ciò che è mio.- e detto questo, incollai le mie labbra alle sue, sentendomi finalmente completa. Quella pace interiore che solo lui sapeva darmi.
-Mi piace quando hai questi sbalzi d'umore.- rise, mentre io scendevo calma. Venne verso me, cingendomi i fianchi con le braccia. Mi accucciai piano sul suo petto, cullata dai suoi battiti cardiaci leggermente accellerati. E solo lì mi venne il dubbio: era quello l'effetto che gli provocavo io?
-Amanda! Luke!- sobbalzai nel sentire la voce di mia madre. E ora?

salve salvino
aggiorno subito con almeno 5 commenti dove dite cosa vi piace di questa storia e come l'avete trovata.
A me è piaciuta molto ed è per questo che la sto condividendo con voi aaawh.
ps: votateee

baci Juz xx

try hard[efp]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora