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#Luke
-Tu non..- indietreggiai, portandomi una mano alla bocca. Il cuore batteva forse troppo velocemente, i polmoni facevano fatica a prendere aria.
-Luke, sei davvero tu?- l'uomo davanti a me si lasciò scappare una lacrima, avanzando verso di me. Il nome sulla targhetta luccicava forse di più, come a voler richiamare l'attenzione dei miei occhi.
Andrew.
-Non può essere. Tu.. Tu sei morto.- sussurrai, con la poca voce che riusciva ad uscire in quel momento.
-Sono qui Luke. Sono io.- mille brividi mi ricoprirono la pelle non appena le sue mani strinsero le mie braccia.
-Papà?- gli occhi azzurri erano come i miei. Il suo naso, le sue labbra, i suoi lineamenti. Il cuore stava scoppiando in petto, la testa ormai diceva cose che nemmeno capivo.
-Come sei cresciuto, ragazzo.- inclinò la testa da un lato, osservandomi meglio. Una lacrima mi rigò il viso, lasciando una scia umida lungo la guancia. E senza dire altro, mi strinse tra le sue possenti braccia, ed io ricambiai volentieri il gesto affettuoso. Stavo stringendo mio padre. Era tra le mie braccia, potevo sentire il suo cuore battere furiosamente contro le costole. Quello stesso cuore, che credevo fosse inattivo. Fermo. Freddo.
-Dove sei stato tutto questo tempo?- domandai subito, non appena l'abbraccio si sciolse.
-Luke, dovremmo parlare ora.- dopo un lungo e doloroso silenzio, parlò con voce bassa. Senza pensarci due volte lo portai in cucina, ancora tremante dall'emozione. Non appena le mie gambe vennero a contatto con il materiale freddo della sedia rabbrividii, tremando appena.
-Tua madre ti avrà detto sicuramente della mia morte.- iniziò, poggiando le mani sul tavolo. Me lo ricordavo quel giorno.
-Avevo quattro anni. Ma ricordo ancora. E bene.- fissai il muro bianco davanti a me, non sopportando il peso dei suoi occhi azzurri nei miei.
-Beh, ecco.. Non so se quello che sto per dirti ti piacerà o meno. Ma sei grande, tra poco sarai maggiorenne, e devi sapere la verità.- a quelle parole sentii una forza crescermi nel petto, furiosamente.
-Ma davvero?- sputai, con tono sprezzante. -Saresti venuto da me per dirmelo o confidavi di suonare alla porta sbagliata?-
-Luke, perfavore.- era fin troppo calmo. -Non so se ricordi, ma in quel periodo ero nei Marines.- abbassò lo sguardo. Avevo solo ricordi ofuscati dal tempo, l'unico mio flash era quello di mamma in lacrime. Scorrevano veloci sul suo viso, mentre diceva 'papà non tornerà per molto tempo.' E così mi misi a piangere pure io, ma forse spinto dalla visione di mia madre così. Solo andando avanti con gli anni capii veramente cosa voleva dirmi. -Ecco, uhm.. Nell'ultima settimana, quella prima del mio rientro, come posso dirtelo?- balbettò appena. Ogni sua parola mi sentivo cadere il mondo addosso. -Sai, ci sono sempre le visite di controllo, quelle di routine.- gesticolò. Potevo benissimo percepire il suo nervosismo mischiato alla paura.
-Cosa vuoi dire, papà?- raccimolai la voce che sembrava scomparsa.
-Sono malato, Luke.- ed eccola. La bomba. Non sentii più nulla. Tutto era un fischio unico, fastidioso e terribilmente schiacciante. Perchè quelle tre parole, quattrodici lettere, mi avevano completamente aperto un buco nel petto. E si allargava ogni secondo che i suoi occhi scavavano nei miei. Il mondo reale si allontanava sempre di più, ed io lo guardavo da lontano. In silenzio. Con il respiro bloccato nei polmoni.
-Quindi si, in un certo senso ero morto. Scappai così di casa, e tua madre ne era al corrente.- forse fu la parte più dolorosa. Tutti e due ne erano al corrente, e non mi avevano detto nulla.
-Certo, perchè era più facile nascondere tutto dietro a una bugia.- le parole uscirono da sole. Il tono più sprezzante e acido che avessi mai usato con qualcuno. Ma non lo sapevo nemmeno io, mi sentivo come quei cagnolini piccoli e indifesi che venivano sballottati da una parte all'altra. Facevano solo quello che il padrone gli diceva di fare. E io in quel caso, ero il cagnolino, e mia madre il padrone.
-Luke, ti prego. Cerca di capire anche..-
-No.- tuonai, con tono roco. -Non voglio più ascoltare niente. Niente.- furiosamente, mi alzai. -E ora fuori di qui, sono già stanco di tutte queste bugie.- mi voltai verso la porta, trattenendo le lacrime. Se prima ero felice, ora non sapevo nemmeno io a cosa era dovuta quella stretta allo stomaco. Camminai fino alla porta, sentendomi davvero fuori dal mondo.
-A presto.- mormorò, prima che io sbattessi la porta. Desiderai davvero di non essere sceso ad aprire, quella mattina. Di non avergli mai detto che quella era casa Hemmings. Mi aveva mentito, e tutto quello che avevo saputo fare era stato cacciarlo.
#Amanda
'
-Forse non posso capire, dato che non ho mai conosciuto mio padre. Ma posso solo immaginare come ti sentivi, o come ti senti ora.- sospirò, carezzandomi la mano.
-Non.. Non hai mai conosciuto tuo padre?- chiesi, con un groppo in gola.
-Morì quando avevo poco meno di quattro anni.- lo vidi sorridere amaramente. -Ma non cercare di cambiare discorso.- mi ammonì, con tono giocoso.
'
La sua voce mi rimbombava in testa. Quella sera, a casa mia, affermò che suo padre fosse morto quando era piccolo. Ma poi eccolo sbucare dal nulla, alla porta sbagliata. Quella del figlio. Me ne stavo all'apice delle scale, torturando i miei neuroni per collegare tutte quelle informazioni. Il padre in guerra si ammala, non vuole far soffrire il piccolo Luke, decide di abbandonarlo fingendo la morte. Scossi vigorosamente la testa, mordicchiandomi il labbro inferiore. Ero nervosa, nervosa della reazione di Luke. Ma non appena questo sbucò dalle scale, con gli occhi arrossati e le labbra secche, io scattai in piedi.
-Luke.- dissi solo, torturando le pellicine delle dita. -Stai.. Uhm, stai bene?- domanda stupida. Lo sapevo che non stava bene, affatto. Ma gliene sarei stata grata se avesse deciso di parlarne con me, se avesse avuto il coraggio di dirmi 'no cazzo, sto fottutamente male'.
-Alla grande, non lo vedi?- il tono sprezzante mi fece indietreggiare.
-Non so davvero cosa fare, io..- la mia voce era piccola e sottile. Quella situazione aveva sconvolto lui quanto me.
-Sai che novità.- buffò, come se fosse davvero scocciato. Tre misere parole mi colpirono al petto. Tre misere parole si stamparono nella mia mente. Tre misere parole mi trafissero i polmoni.
-Senti Luke, mi dispiace per questa situazione, ma..-
-Sempre con questa cazzo di compassione! Ma cosa? Uh?- urlò, gesticolando furiosamente. Ricordai le parole che Ash mi disse, non appena vide interessa da parte di Luke per me: 'quando si arrabbia perde completamente il controllo, non sa quello che dice. E' fatto così, Amanda.'
-Ma voglio aiutarti.- sospirai a fondo, abbassando lo sguardo ai miei piedi.
-Non ho bisogno del tuo stupido aiuto.- le sue parole trafissero ancora il mio cuore, i miei polmoni, il mio tutto. Venni come schiaffeggiata dal suo tono freddo e distaccato, restando così muta a fissarlo. -E' meglio che tu vada ora.- mi sorpassò velocemente, entrando nella sua stanza. Sentii il vuoto sotto di me, mi dovetti aggrappare alla ringhiera della scala per non cadere. In maniera molto brusca, sbattè fuori le mie cose, chiudendo velocemente la porta dietro a sè. Mi sentii come privata di quel poco di paradiso che avevo conquistato. Mi sentivo fuori dalla sua vita. Buttata oltre la soglia, proprio come quella borsa. Prese le mie cose, mi infilai velocemente gli shorts della sera precedente, correndo fuori casa. Le parole del biondo rimbombavano dolorosamente contro le pareti del cranio, ripetendosi come un disco rotto. Le lacime scendevano, appannandomi la vista, appesantendomi il petto. Sentii una sensazione di formicolio alle mani, espandersi alle braccia, arrivando a tutto il corpo. Il respiro a scatti, la sensazione che i polmoni si stessero riducendo a due piccole nocciole.
Merda.
Zoppicai in malo modo verso casa, portando una mano al petto, dove il dolore si stava propagando. Bussai ripetutamente alla porta di casa mia, sentendo la paura di morire crescermi nel corpo. Le mani tremanti caddero nel vuoto non appena mia madre aprì la porta.
-Oh, ciao tesoro, come ma.. Dio santo! Amanda!- venni letteralmente trascinata nel salotto, dove mia mamma mi fece stendere sul sofà. -Respira amore, ce la puoi fare. Respira.- ripeteva. Non sapeva che era difficile in quel momento. Tremavo, la paura era letteralmente soffocante, la sua voce era sempre più lontana da me, come la realtà.
-Amanda, ti prego. Ti prego.- supplicò, inginocchiandosi a me. -Ti prego.- ripetè, puntando i suoi occhi verdi nei miei, del medesimo colore. Non meritava questo, era una donna fantastica. Successe quello che successe in Francia. La realtà si avvicinò, vendendomi incontro. La voce di mamma si levò il mantello che la rendeva ofuscata, e sentii davvero i polmoni riprendere la loro stazza.
-Mamma.- sbiascicai, sbattendo più volte le palpebre. -E' successo ancora, vero?- sussurrai, sconfitta.
-Non ti devi preoccupare ora, è passato.- mi strinse a se, sospirando tra i miei capelli. -E' passato.-

try hard[efp]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora