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ps:scusate l'interruzione,passate a leggere 'our shining' di @MaryManitta

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-Uhm, cos'è questo?- Ash prese dal sedile davanti a sè un depliant di viaggi vacanze.
-Vacanze estive..- rispose distrattamente Calum. Ero davvero troppo felice che venissero anche loro, ormai l'aereo era decollato, destinazione.. Parigi.
-Quindi mia mamma sapeva tutto?- domandai, forse per la ventesima volta.
-Si, Amanda, lo sapevano tutti tranne te. Volevamo farti una sorpresa.- sospirò, mentre si apriva in un bellissimo sorriso.
-Siete crudeli.-
-Si, vero, ma l'abbiamo fatto per creare l'effetto sorpresa.- sprigionò quella risata pura e cristallina, mentre Calum canticchiava distrattamente.
-Dove dormirete?- mi misi seduta più comoda sulla poltroncina.
-Da te. Tua mamma ha già pensato a tutto e a tutti, stai calma.- le sue dita mi presero un lembo di pelle della guancia, tirandola appena.
-Ahi.- protestai, facendo solo ridere Calum, che era alla mia sinistra. Luke se ne stava davanti, le cuffie nelle orecchie e gli occhi persi a guardare l'ala dell'aereo, blu. Ancora non credevo che sarei tornata nel posto dove erano nati i miei problemi. Ma vi era solo un lato positivo. Loro erano con me. Ash, Calum, Mike erano con me. Luke era con me. E forse, la presenza del biondo, alleviava un po' il dolore. Se solo sapesse che mi basta un suo sorriso per essere felice, se solo sapesse che mi basta un suo abbraccio per farmi sentire al sicuro, se solo sapesse che mi bastano i suoi baci per mandarmi in paradiso.
Se solo sapesse.
Se solo.

-Bonjour, je m'appelle Calum.- ripeteva da quando eravano scesi dall'aereo. -Va bene, Amanda?-
-Si, Hood, va benissimo.- gli sorrisi, nascondendo i miei nervi tesi. -Plaire de te connaître, je suis Amanda.- fortunatamente il mio accento non era cambiato.
-Oh, ma dai, hai la pronuncia che fa paura!-
-Sono nata qui, mi viene spontaneo.- risi, scompigliandogli i capelli. Dopo aver preso i bagagli, chiamai un taxi, e dopo avergli spiegato la direzione, mi accasciai dietro con le altre quattro bestie. Purtroppo Beth non era potuta venire, doveva andare in Inghilterra per vedere i suoi zii. Mi sarebbe mancata, speravo di vedere anche lei. Luke era stranamente silenzioso. Non faceva che guardare un punto indefinito, gli occhi persi. In Australia erano le dieci del mattino. A Parigi, invece, la luna illuminava le case. Era l'una e mezza, vi erano quasi otto ore e mezza di fuso orario, e già soffrivo il jet lag. Ero veramente stanca, ma guardare quelle strade non del tutto deserte, illuminate dalla calda luce dei lampioni, mi faceva sentire a casa. Ricordavo la casa di mio padre, ricordavo la cantina dove teneva le bottiglie colme del suo vino. Chissà se aveva ancora la vite. Adoravo giocarci con Julie, la mia amica d'infanzia. Sorrisi tra me e me, avevo bei ricordi in quella città. Fino a che mio padre cominciò a picchiarmi. Dopo tutto si fece buio. Buio pesto. Mi ricordo che passai una settimana nel letto, con dolori alla testa per il fuso orario e mamma che cercava di tirarmi su il morale. Ma non era facile. Non lo è mai stato. Eppure ero lì, ora. Con i miei migliori amici, in una delle città più belle al mondo. Perchè Parigi non aveva nulla che le altre città non avevano.
-Sto male.- grugnì Mike, massaggiandosi le tempie.
-Questo jet lag mi distrugge.- mugolò Ash.
-Mi dispiace ragazzi, ma dopo una bella dormita passerà tutto.- sorrisi, nel modo più tenero possibile. MI sarei sentita per sempre in debito con loro per quel viaggio. Avevano deciso di volare con me a Parigi, in una città sconosciuta a loro, come la lingua, e di sopportare la differenza di ore.
-Vi voglio bene.- mi lasciai sfuggire.
-Oh mio Dio.- squittì Calum. -Il jet lag ha anche questo effetto collaterale?-
-Si, penso sia quello.- annuì Ash, ridendo.
-Oh, ma dai! Per una volta che sono io quella tenera, dovete rovinare tutto.- risi, non riuscendo proprio a fare quella arrabbiata.
-Dillo in francese!- esclamò Mike.
-Je vous veux bien.- risi, a vederlo saltellare sul posto, euforico. E dopo quasi mezza giornata di viaggio, vidi il sorriso più bello spuntare sul viso più bello. Luke mi stava sorridendo. Gli occhi che brillavano. Scesimo dal taxi, e dopo aver pagato, scaricammo le valigie. Imponente, bianca, illuminata. Tre piani, tante finestre. Il vialetto illuminato, le piante curate. Era cambiata, in meglio.
-E' questa?- un sussurro che parve appena percepibile alle mie orecchie. Ash.
-Si.- utilizzai i miei capelli come scudo, fissando le mie Nike ormai consumate dal tempo.
-Ci siamo, allora.- sospirò. Sospirai.
-Amanda, dovremmo entrare.- oh, Luke.
-Io..- titubai, guardando le mura bianche. Allacciò le sue braccia intorno a me. Vi era silenzio tra noi due. Le parole sarebbero state solo un peso in quel momento. I nostri respiri intrecciati dicevano già tutto. A malincuore mi dovetti staccare, e vidi che stava sorridendo. Mi avrebbe uccisa, andando avanti così.
-Andiamo allora.- respirai profondamente. Credo fosse davvero il respiro più grande e lungo che avessi mai fatto. Ad ogni mio passo mi sentivo completamente sprofondare. Toccai il pomello lucido, sfiorandolo appena con le dita. E non appena aprii quella porta, una forte sensazione di scombussolamento prese parte in me. Guardai quella piccola parte d'entrata, a terra vidi una bambina dai capelli rossi. Era rannicchiata su se stessa, piangeva. Aveva un taglio sul sopracciglio sinistro, stava colando di sangue. Le urla di un uomo presero parte in quella scena, mentre la bambina piangeva, si copriva con le mani gli occhi verdi. Sulla guancia vi era un livido, viola. Ricopriva gran parte dello zigomo, era anormale vedere una cosa così su una bimba. Mossi piccoli passi indietro, scontrandomi con il petto di Calum.
-Amanda, va tutto bene.- ma nonostante il suo sussurro, i pianti stanchi e taglienti della piccola restavano imprigionati nella mia testa. Ero io. Ero io all'eta di 10 anni. Lo schiaffo della mano di mio padre aveva fatto diventare viola il mio zigomo, me lo ricordavo fin troppo bene. Scossi la testa, come a voler far uscire quell'immagine dalla mia testa. Lasciata alle spalle l'entrata, mi si presentò un salotto dallo stile moderno. I mobili in legno bianco occupavano quello spazio enorme. Il divano era largo, lungo e nero. Due cuscini color porpora stavano ai rispettivi angoli. Fissavo tutto quello in silenzio, sentendo la voce di una donna parlare in francese. Era tutto acceso, e la cosa mi parve strana. Molto strana.
-Amanda?- l'ultima vocale del mio nome apparve più accentata. La pronuncia era francese, e la voce flebile, piccolina. Abbassai piano lo sguardo, venendo a contatto con due occhioni azzurri azzurri. I lunghi capelli biondi erano legati in due treccie poggiate sulle spalle. Indossava un pigiamino rosa, con un coniglietto sulla maglia. Nella mano destra teneva un pupazzetto, un coniglio anch'esso, ma bianco e azzurro. Nemmeno il tempo di rispondere che le sue braccia corte e magre mi strinsero in un forte abbraccio. Ero a dir poco sconvolta, non riuscii a fare quasi niente, a parte accarezzarle la testa, appoggiata al mio stomaco.
-Papa m'a parlé beaucoup de toi.- disse, contro la mia giacca.
-C-comment t'appelles-tu?- riuscii a chiedere, non staccando gli occhi dalla piccola.
-Je suis Lucie.- mi sorrise, felice. Avrà avuto sei, sette anni. Pensai che forse era la mia sorellina, i lineamenti erano uguali a quelli di Joseph, ma..
-Amanda, ben arrivata.- alzai lo sguardo a sentire il mio nome. Una donna alta, dal sorriso caloroso. Capelli biondi raccolti in una coda, occhi azzurri come il ghiaccio. Portava un paio di pantaloni larghi, forse quelli del pigiama, e una canotta nera. -Scusa Lucie, ma non parla ancora inglese.- carezzò la testolina bionda della piccola, sorridendole. Il sorriso era uguale, non è che era lei la madre? Se era davvero così, voleva dire solo che mio padre, era di nuovo padre. Con un'altra donna, però.
-Oh, che sbadata. Scusami tanto. Io sono Catherine, è un piacere conoscere la famosa Amanda Colson.- mi porse la mano. Era morbida, delicata, non appena gliela strinsi. Non faceva che sorridere, ed era l'una di notte.
-E' stata in piedi ad aspettare noi?- domandai imbarazzata, mentre ritraevo la mano dalla sua.
-Assolutamente. Se no chi ti accoglieva? Come ben sai noi francesi siamo molto pignoli su queste cose.- mi strizzò l'occhio, in modo assolutamente amichevole. La piccola Lucie non faceva che sorridermi, mentre i suoi occhi azzurri brillavano.
-Oh, beh.. Grazie mille.- giurai di sentire le guancie colorarsi, anche se di poco. -Comunque loro sono Ashton, Calum, Michael e Luke.- indicai rispettivamente i ragazzi.
-Oh, certo, mi avevano avvertita che sarebbero arrivati. Ma infondo questa casa è grande, c'è spazio per tutti.- rise, stringendo la mano ad ognuno di loro.
-Bene, vi porto a farvi vedere la casa. Sarà un po' cambiata, Amanda, ma forse è meglio così.- mi sorrise dolcemente, e capii in pieno il significato dell'ultima parte. Catherine sapeva, allora. Ci portò in cucina, spaziosa e tutta in alluminio che luccicava sotto le luci dei faretti. Poi ci portò a vedere i due bagni, anche quelli grandi. Nel primo i muri erano di un azzurro chiaro che si sfumava a quello scuro, vi era una vasca enorme, con idromassaggio e radio (la cosa si faceva interessante) mentre nell'altro vi era una doccia molto spaziosa, il muro era nero lucido. La camera degli ospiti er la camera-degli-ospiti più grande che avessi mai visto. Ospitava bensì cinque letti, di una piazza e mezza, più una scrivania con tanto di computer. Dopo aver messo a letto Lucie, tornammo al piano di sotto.
-Ma questa casa è enorme!- commentai sbalordita, entrando in cucina.
-Si, lo è. Tuo padre ha fatto molti lavori, non appena ci siamo conosciuti.- ci fece accomodare al tavolo. -Volete un po' di the?-
-No, grazie mille.- ero così nervosa che qualunque cosa mi sembrava fin troppo pesante per il mio stomaco.
-Allora Amanda, raccontami un po' di te.- sorrise Catherine, versando un po' di acqua calda nella tazza verde scuro.
-Uhm, non saprei che dire..-
-Come hai conosciuto i ragazzi?- chiese sorridente.
-Ehm, è stato più o meno un anno fa. Lo conobbi in punizione, mentre stava battendo il ritmo di una canzone dei Green Day sul banco con due matite.- sorrisi al ricordo.
-Amo ancora quella canzone.- mi sorrise.
-State insieme?- chiese, una Catherine stranamente schietta.
-Cosa?! Oh, no, no.. Assolutamente no.- divenni paonazza, e subito pensai a Luke. Pensai che sarebbe stato bello prendergli la mano, guardarlo e dire alla donna bionda che era lui il mio ragazzo. Che gli occhi color oceano di Luke erano miei, che le sue labbra erano mie, il suo sorriso era mio. Lui era mio. Ma stetti immobile, mentre Ash parlava con Catherine, a fissare Luke. Era visibilmente stanco, seduto composto sulla sedia, mentre parlava con Calum.
-E da quel giorno quindi siete inseparabili, voi cinque. Che storia carina.- bevve un sorso di thè, mentre io uscivo dalla mia bolla azzurra.
-Hanno anche una band, adoro la loro musica.- sorrisi ai quattro, mentre Catherine spalancava la bocca, stupita.
-Davvero? Oh, dovete assolutamente farmi sentire qualcosa, sono troppo curiosa.- battè le mani, entusiasta. Ma c'era una cosa che mi chiudeva lo stomaco, che non mi andava completamente a genio. Mio padre dov'era?
-Catherine, scusa.. Sai dov'è mio.. Ecco..- era una specie di blocco per me. Non riuscivo a pronunciare quella parola, era più forte di me.
-Intendi Joseph? E' a letto, ha detto però di scusarsi immensamente, ma domattina si alza molto presto.- la sua espressione era dispiaciuta.
-E, scusa se sono così schietta, ma volevo sapere di Lucie.-
-Lucie è la nostra bambina.- bum, colpo al cuore. Fu come sentire i polmoni restringersi sempre più, riducendosi a due noci.
-Figlia di Joseph?- mi mancò il fiato per vari secondi.
-Si, ma devi sapere che è cambiato. Non beve un goccio di alcool da quanto tu e tua madre ve ne siete andate.- disse, comprensiva. -E' anche per questo che ha voluto vederti, cara Amanda. Voleva dimostrarti che era cambiato, aggiustare l'ultimo pezzo della sua vita. Ha capito di aver sbagliato, e io personalmente so che non è chiedendo scusa che si rimedia alle cose. Non ti chiedo di capirlo, sarebbe veramente ridicolo. Ma ti chiedo di dargli un'altra opportunità.- la sua mano toccò la mia. Catherine mi metteva tranquillità. Mi piaceva già quella donna, sapeva davvero farci con le parole.

try hard[efp]Where stories live. Discover now