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-C-cosa?-  balbettai, sentendo le pareti dello stomaco contrarsi di botto.
-Ti ricordi la mattina quando mio padre si è presentato a casa mia? Appena siamo andati in cucina a parlare, mi ha detto di essere malato.- spiegò, la voce incrinata dalle lacrime che da lì a poco sarebbero scese. Il padre di Luke malato? Mi si seccò la bocca a quell'affermazione. Quindi stava facendo la chemio, quella mattina. Sentii tutti i muscoli contrarsi, mentre fissavo Luke con gli occhi persi nel vuoto.
-Luke.- gemetti, stringendogli l'avambraccio tra le mie dita tremanti. Era un fascio di nervi, lo potevo percepire.
-E' tutto okay.- sibilò, non muovendosi di un solo centimetro.
-Con me non puoi mentire, so benissimo che non è tutto okay.- sbottai, sull'orlo di una crisi isterica. -Dovresti andare a trovarlo, sei suo figlio. Si è comportato male, e certe cose è vero che non potrai mai cambiarle. Ma resta tuo padre, è giusto andare da lui.- sospirai, spostandomi davanti a lui. Piegata sulle ginocchia, mi appoggiai alle sue, spostando lo sguardo in alto, nei suoi occhi azzurri irrequieti, come mai avevo visto prima d'ora.
-Ha una fottuta leucemia, ha una fottuta leucemia da quando se n'è andato di casa.- sibilò, assottigliando notevolmente gli occhi. Il suo corpo trasudava di dolore puro, intatto, forte. Era scosso da continui piccoli spasmi, mentre sforzava gli occhi di tenere dentro le lacrime amare. -Non ci sono mai stato. Ho sempre pensato fosse morto, morto chissà dove. Invece era vivo, a lottare costantemente tra la vita e la morte.- solo in quel momento capii. Era arrabbiato con se stesso.
-Non ne hai colpa, eri all'oscuro di tutto.- sussurrai, carezzandogli piano la guancia. Ero parecchio intimorita, mi aspettavo qualsiasi reazione da parte di Luke. Ma stette fermo, immobile, e fissare un punto immaginario davanti a lui.
-Non posso tornare da lui.- sembrò oltrepassato da una scossa, una forte scarica elettrica.
-Tu gli servi.- mi alzai in piedi, seguendo il suo corpo magro e slanciato.
-Io porto guai. Se mi hanno tenuto all'oscuro di tutto questo, un motivo c'è.- sbottò.
-No, non volevano farti soffrire. E lo sai bene.-
-Tutti i nodi vengono al pettine, prima o poi. E credo che faccia molto più male saperlo quando si ha quasi diciotto fottuti anni. Sono stato all'oscuro di tutto, mentre tutti sapevano.- era davvero al limite. Mi dava le spalle, dai movimenti irregolari, che osservavo con gli occhi gonfi di lacrime.
-Hanno sbagliato, ma tutti commettono sbagli, Luke. Tuo padre ha bisogno di te, soprattutto ora. Sei sempre suo figlio, e non ostante tutto lui resta tuo padre. Devi andare da lui.- mormorai. Le spalle di Luke cominciarono a tremare, un piccolo singhiozzo gli lasciò distrattamente le labbra. Lo feci voltare, il mio respiro inciampò rovinosamente in gola. Le lacrime gli bruciavano il volto, gli occhi più azzurri, contornati da un rosso acceso, vivo, che bruciava dentro a lui.
-Fa male.- sibilò, stringendo le labbra in una linea dura. Fu uno scatto. Si abbandonò sulle sue ginocchia, cadendo ai miei piedi.
-Luke, avanti.- lo spronai, con voce rotta dal pianto. -Non posso sopportare di vederti così, devi lottare okay?- mi abbassai al suo livello, lasciando libere le lacrime, diventate davvero insistenti.
-Oh, Amanda.- le sue braccia ci misero poco a attirarmi contro al suo petto. Il cuore gli batteva velocemente, pompando sangue in tutto il suo corpo.

L'odore di disinfettante raggiunse velocemente le mie narici. Avevo sempre odiato gli ospedali, ma in quel momento, con il cuore a mille e la mano in quella fredda di Luke, provavo un certo senso di impotenza verso quel luogo. Il pavimento grigio, le pareti bianche. Non riuscivo a dare nessun'emozione, a decifrare qualcosa. Ma forse era giusto così, ci potevano essere belle o brutte notizie lì dentro.
-Buongiorno ragazzi, posso aiutarvi?- una signorina dai capelli lunghi e biondi legati in una coda di cavallo ci sorrise cordiale, stringendo tra le dita una cartelletta bianca.
-Cerco Andrew Hemmings.- la voce tremava a Luke, e parola dopo parola la presa sulla mia mano aumentava.
-Posso chiederle chi è lei? Il signor Hemmings è in cura ora, desidera non essere disturbato.- disse cordialmente, sbattendo più volte gli occhi azzurri limpidi. Avrà avuto si e no ventisette anni, non di più certamente.
-Luke Hemmings. Sono il figlio.- sospirò, mordendosi l'interno guancia.
-Oh, credo che possa entrare.- rivolse un sorriso caldo a Luke. -La signorina, invece?-
-Oh, no, io resto qui fuori.- dissi velocemente, prima che lui potesse dire qualcos'altro.
-Amanda..- si voltò verso di me.
-No.- scossi la testa, sorridendo timidamente. -E' una questione terribilmente personale e terribilmente delicata. Non voglio infierire, avete bisogno dei vostri spazi e del vostro tempo. Io sono qui fuori, non me ne vado.- prese entrambe le mani, lo guardai negli occhi azzurri e irrequieti, sorridendogli di poco.
-Non te ne andare, okay?- non appena si accertò che la ragazza fosse occupata dietro allo schermo del computer, si avvicinò a me, facendo sfiorare i nostri petti. -Ti amo.- sussurrò, la punta del suo naso sfiorò la mia.
-Anche io.- mille farfalle svolazzarono libere nel mio stomaco, senza fermarsi. -Ma ora vai, buona fortuna.- mi sorrise, per poi lasciarmi un leggero bacio sulle labbra. Morbide, calde. -Vai.- lo spronai, sorridendogli.
-Vado, vado.- e anche se alzò le mani in segno di resa, sorridendo divertito, potevo percepire l'ansia e la paura.

try hard[efp]Where stories live. Discover now