1 ~Il fuoco che arde~ ✔

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Ero in piedi di fronte alla trave, avvolta dal mio body preferito che mi fasciava come una seconda pelle, ed ero pronta a iniziare il mio esercizio. Quello a cui stavo lavorando da almeno un anno. Misi le mani in avanti ed effettuai l'entrata in verticale, i muscoli vibrarono di fronte a quello sforzo, a fine giornata erano sempre un mucchietto di fibre doloranti. Non mi lamentavo mai della fatica, la soddisfazione che ne ricavavo era il premio per tanto impegno. Quando eseguivo i miei esercizi ero sempre talmente concentrata da non accorgermi delle ore che passavano, né tantomeno degli atleti che tornavano a casa dopo una lunga giornata di allenamento e mi sfilavano accanto. Anche oggi infatti, ero talmente focalizzata sui movimenti da eseguire, da non essermi resa conto che una figura minuta si era avvicinata piano.

«Giusy, quante volte te lo devo dire? Devi tenere le punte dei piedi tirate se non vuoi perdere in gara centesimi di punto», mi disse con un tono che non nascondeva una punta di arroganza.

«Lo so, mamma» esclamai, mentre una goccia di sudore mi scivolava seguendo il profilo marcato degli zigomi.

Finii il mio esercizio con qualche imperfezione di troppo e la osservai. Io e mia madre eravamo come il giorno e la notte, come lo Yin e lo Yang, provenivamo da due mondi distanti e incompatibili. L'unica cosa che sapevo con sicurezza, era che la mela non cade mai lontana dall'albero. Nei suoi occhi, così scuri e profondi come buchi neri cosmici, vedevo il fuoco.

Il suo fuoco era il mio fuoco.

La sua passione era la mia passione.

Ed anche se il suo si era affievolito tanti anni fa, a causa di una brutta caduta dalle parallele, io potevo ancora scorgerlo, tra le rughe che le segnavano il viso come crepe nel deserto arido e tra i capelli corvini striati di nastri d'argento.

Il mio allenamento ormai era finito, mi stavo per sciogliere le fasciature ai polsi quando mia madre si avvicinò e mi appoggiò una mano sulla spalla. «Questo è l'esercizio che porterai in qualificazione? Questo dovrebbe farti distinguere?».

«Sì», affermai in modo deciso. Sapevo che rispondere con insicurezza avrebbe dato adito alle sue critiche.

«Non basta».

«Perché?» sussurrai, sapendo che quella domanda nascondeva altri mille perché: perché non sono mai abbastanza per te? Perché mai una parola gentile? Perché vuoi essere solo la mia insegnante quando tra di noi basterebbe un po' di amore e rispetto?

«Sbilanciamento nel salto costale, punte non tirate nell'enjambèe ad anello e gambe piegate nell'uscita», elencò incrociando le braccia al petto e guardandomi torva, come se fossi l'insetto più insignificante sulla faccia della Terra. Non mi sorpresi, mia madre aveva l'abitudine di guardare tutti in quel modo, come se fosse sempre una spanna superiore. L'aver partecipato alle Olimpiadi anni fa le aveva gonfiato a dismisura un ego già dominante.

La guardai per un attimo, era stretta nel solito scialle di seta con le labbra che disegnavano una linea retta violacea. Per dimostrarle che si sbagliava, salii di nuovo sulla trave, feci l'entrata in verticale, il flic tempo e arrivai al salto costale, sbilanciandomi.

«Di nuovo», ringhiò.

Iniziai da capo l'esercizio aggrappandomi alle ultime energie rimaste dopo un'intensa giornata dedicata alla ginnastica artistica. Piegai leggermente le braccia per aiutarmi nell'entrata, aspettai un commento di mia madre, ma questa volta mi lasciò fare. Arrivai con fatica all'ultimo salto prima dell'uscita: l'enjambèe ad anello. Sentivo il sudore inumidirmi la parte posteriore del collo, il cuore battere così forte che se avesse potuto mi avrebbe squarciato la pelle, ma osservai con determinazione l'estremità opposta della trave. Presi una breve rincorsa. Peccato che al secondo passo, i miei muscoli si rilassarono all'improvviso. Caddi svenuta un istante dopo.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now