37 ~Senza veli~✔

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Samuele stava aspettando la mia risposta con un leggero sorriso curioso, io cercavo di non guardarlo dritto negli occhi per il troppo imbarazzo, spostavo lo sguardo dal piatto ancora pieno di sushi alla bottiglia di vino bianco, che ci aveva portato il cameriere, e dal paesaggio che scorreva al di là del finestrino ai fili di colore oro che decoravano il bordo della tovaglia.

Cosa avrei dovuto rispondergli?

Che mi piaceva ogni centimetro del suo corpo? Anche i dettagli insignificanti come quel piccolo neo che aveva sul collo oppure quella cicatrice sul ginocchio, ormai vecchia, che era diventata bianca?

Mi era impossibile scegliere, quando si ama qualcuno, così come io amavo lui, ci si innamora di tutto, anche dei difetti.

Alla fine presi coraggio e, dopo aver mandato giù un bel sorso di vino e averne assaporato il suo aroma fruttato, esclamai: «le tue mani».

Lui alzò solamente un sopracciglio: «le mie mani?», ripeté come se non fosse convinto.

«Sì», risposi con fermezza prima di allungare la mia mano verso la sua. Lui me la porse e io gliela accarezzai per poi volgere il suo palmo verso l'alto.

Passai con delicatezza i miei polpastrelli sulle linee che gli solcavano la pelle e poi sui suoi calli duri e rialzati: «hai delle mani forti, vissute. Quando mi accarezzi o mi abbracci mi sento protetta e al sicuro», risposi senza smettere di muovere le dita.

«Sono semplicemente le mani di un ginnasta», disse.

«Esattamente come le mie».

Lui non rispose e io mi sentii una stupida: «sei deluso?», gli domandai osservando le sue labbra leggermente arricciate.

«No», disse ritirando la mano, «mi aspettavo cose più semplici come gli occhi o il sorriso... ma tu hai la capacità di stupirmi sempre».

«Ti aspettavi cose più lusinghiere», mormorai pensando di aver colto nel segno, «ammetto che è stata una scelta molto difficile».

Sorrisi mentre iniziavo a sentire il viso scottare ma, fui contenta, nello scorgere il suo sguardo ammaliante come risposta.

«Perché non mi hai baciato quel giorno dopo la discoteca?», gli chiesi a bruciapelo tanto che lui mi guardò sorpreso.

Era una delle domande che mi aveva tormentato per tantissimo tempo, visto quello che era successo dopo.

«Non lo so», sospirò lui posando la forchetta e appoggiandosi allo schienale in legno del sedile.

«Ricordati che devi dirmi la verità», gli rammentai poggiando un gomito sul tavolo e il mento sul palmo della mia mano.

Quando il gioco era nelle mie mani mi sentivo forte.

«Era la prima volta che ti vedevo fuori dal contesto della palestra», disse con calma per poi mordersi il labbro inferiore, «eri a una festa... con quel vestito! Ma soprattutto eri indifesa e impaurita. È stato strano».

«Strano?», gli feci eco.

«Sì», affermò lui, «è stato il momento in cui ho capito che non eri più la bambina che mi spiava durante gli allenamenti».

«Ehi io non ti spiavo!», mi intromisi d'impulso.

Lui sorrise ma continuò: «ho capito che eri diventata una splendida donna, ma sono riuscito a trattenermi».

In quel momento il tram passò davanti al Teatro Municipal, uno dei simboli di Rio de Janeiro. Rimasi sorpresa dalla sua bellezza in stile neoclassico con le colonne in marmo e le statue di bronzo ma, soprattutto, mi colpì l'armonia della struttura imponente, a Giorgio sarebbe sicuramente piaciuto, così gli scattati una foto, anche se venne mossa per la velocità.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now