30 ~Un oceano di emozioni~ ✔

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La cosa che mi aveva sempre colpita del tempo era la sua irreale soggettività, quando mi allenavo, scorreva inesorabile e non mi sembrava mai sufficiente per completare tutti gli esercizi mentre, ora che mi ritrovavo immersa nel buio, su uno scoglio freddo e scivoloso in mezzo all'oceano, mi sembrava che si fosse fermato.

Mi sporgevo dalla roccia in direzione della spiaggia ma, ciò che riuscivo a vedere, era solo qualche luce sfocata della grandezza di una lucciola. Sentivo l'aria pregna di salsedine che mi si appiccicava alla pelle, schizzi di acqua fredda che, a ritmo regolare, mi colpivano inumidendomi il vestito e, i miei capelli, che fluttuavano leggeri nel vento cambiando continuamente direzione.

Provai a gridare, alzai le braccia verso la spiaggia seguendo quel punto più luminoso che, presumibilmente, era il falò; percepivo la mia voce perdersi tra gli ululati del vento e capii che, mai, sarebbe arrivata a destinazione; non mi restava che aspettare, mi misi rannicchiata sull'ultimo scoglio rimasto ancora in superficie, maledicendomi per non essermi portata il cellulare anche se probabilmente non sarebbe servito a nulla. L'acqua iniziò a salire inghiottendo tutto ciò che si sovrapponeva al suo cammino, era torbida a tal punto da sembrare una distesa di pece e, il solo pensiero di immergermi in essa, mi terrorizzava.

Poco dopo, però, non ebbi più scelta, dovevo provare a tornare a riva nuotando.

Mi veniva da piangere, mi sfiorò la possibilità di non avere le forze sufficienti, sapevo nuotare ma non ero preparata per questo, la ginnastica è uno sport di forza e potenza, non certo di resistenza. Ero arrabbiata con me stessa e con l'impulsività che mi contraddistingueva quando si trattava di Samuele, lui era il mio punto debole. Nonostante ne fossi consapevole, ogni volta, ricadevo nell'errore di agire in modo avventato. Quando mi tuffai lo shock termico mi destabilizzò, muovevo in fretta le mani per restare a galla evitando di bere e cercando di non pensare a cosa potesse esserci a quella profondità. Iniziai a fendere l'acqua e a battere i piedi velocemente in uno stile libero sgraziato.

La corrente era fortissima, mi sembrava di fare tre metri avanti e poi due indietro, nuotavo veloce ma la spiaggia, era sempre alla stessa distanza. Il gelo iniziò a togliermi la sensibilità a mani e piedi, i muscoli si stavano indurendo per la stanchezza e, nella mia testa, mi balenò l'idea di mollare.

Dopo ancora un numero infinito di bracciate mi fermai, iniziavo a distinguere qualcosa sulla spiaggia ma, le onde, anche se lievi, mi offuscavano la vista, riprovai a gridare e a battere con forza le braccia sulla superficie dell'oceano creando un po' di schiuma con la speranza che, Lia o qualcun altro, si accorgessero di me.

Ma quanto tempo ci sarebbe voluto?

Più annaspavo per restare a galla e più le forze mi abbandonavano.

I miei piedi iniziarono a diventare pesanti, sembrava come che qualcuno d'improvviso mi avesse attaccato un'ancora alla caviglia, mi sentivo trascinare giù con forza, il corpo quasi completamente paralizzato e reso insensibile dall'acqua gelida. Guardai per un'ultima volta verso l'alto, il cielo blu punteggiato dalle stelle, impressi nella mente quell'ultimo frammento di vita pensando a mio padre che, tra poco, avrei raggiunto. Chiusi gli occhi e presi l'ultima boccata d'aria prima che l'oceano mi divorasse.

Iniziai una lenta discesa verso il fondale, il mio corpo non reagiva più agli stimoli del cervello, la cosa peggiore fu quando l'acqua mi defluì nelle narici e nella bocca in maniera prepotente, fu come che un essere liquido volesse farsi spazio dentro di me in maniera violenta e senza averne il permesso. Brancolavo nel buio poi, d'un tratto, sentii due mani vigorose afferrarmi sotto le ascelle, venni trascinata verso l'alto con fatica, avrei voluto aiutare quell'operazione ma, il mio corpo inerme, in quel momento non sembrava funzionare.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now