26 ~Se siamo insieme non siamo più soli~✔

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Quando riaprii la porta Samuele era girato di spalle con lo sguardo perso al di là della finestra, le braccia erano poggiate sul davanzale, potevo vedere i suoi occhi azzurri riflessi nel vetro.

«Eccomi», sussurrai.

Scorsi il suo sorriso dal riverbero della finestra, non appena si voltò, mi fece segno di avvicinarmi con la mano. Timidamente lo raggiunsi: «temevo che non venissi più, ma ti ho aspettata», mormorò spostandomi i capelli dagli occhi, «è da un po' che aspetto una come te».

Poi mi baciò.

Il contatto con le sue labbra calde e morbide sciolse gran parte della tensione, con lui mi sentivo a casa, anche se ero a chilometri e chilometri da Roma, anche se qui ci si apprestava alla notte mentre, in Italia, ci si preparava per affrontare un nuovo giorno.

Mano nella mano percorremmo tutto il lungo corridoio, le nostre scarpe in tela scivolavano spedite sul pavimento in marmo. Entrammo nell'ascensore, era capiente e interamente ricoperto da specchi, guardai il mio viso e, per la prima volta, fui contenta che Lia mi avesse truccata, sembrava che fossi una ventenne matura e non più l'adolescente impacciata che faceva di tutto per non essere notata, che voleva essere guardata solo quando indossava il body ed era nel suo habitat naturale, la palestra.

Samuele si avvicinò alla tastiera e pigiò l'ultimo pulsante, quello della terrazza.

Quando le porte si aprirono ci ritrovammo di fronte a uno spettacolo inimmaginabile, una lingua di parquet chiaro ci faceva strada verso un'enorme piscina rettangolare, il cui lato più lontano era a diretto contatto con una vetrata trasparente alta un paio di metri. Sulla destra c'era un piccolo spazio per rilassarsi con numerose chaises longues in vimini, piccoli tavolini in vetro corredati da fiori finti e un gazebo che creava un'atmosfera intima.

«Possiamo dire che su internet non sbagliavano», disse Samuele attraversando la terrazza fino a raggiungere il punto più estremo, da cui si poteva godere di una vista mozzafiato. C'erano talmente tante cose da guardare che il silenzio che si creò tra di noi non fu imbarazzante. I nostri occhi venivano catturati dai palazzi illuminati che si ergevano imponenti davanti a noi, dalla sottile linea dell'orizzonte che divideva il cielo dal mare e da un faro, posizionato sulla sommità di una roccia, che emetteva un fascio di luce argenteo rischiarando le onde marine che si infrangevano sulla montagna.

Avrei voluto rimanere per sempre lì, con Samuele, con il vento che mi accarezzava i capelli e mi solleticava le guance, con lo sguardo perso in un'infinità di dettagli e bellezza, in un posto dove il tempo non contava.

Eravamo lì in piedi, spalla contro spalla, ammirando uno spettacolo più grande di noi, una Rio de Janeiro notturna che brillava pulsando come se fosse viva; avevo una lista infinita di domande che volevo fargli e di dubbi da sciogliere ma, il pensiero di rovinare questo momento, mi bloccò.

«A cosa pensi?», mi disse Samuele, dopo qualche minuto, girandosi verso di me, con la luce elettrica che gli illuminava solo metà del viso.

«Stavo pensando a quando gareggeremo», gli risposi mentendo ma comunque emozionata, «tutta l'Italia sarà lì a guardarci! Ti rendi conto?».

Lui annuì: «già! Ieri la mia pagina Facebook si è intasata di in bocca al lupo».

«E la tua famiglia?», domandai sapendo di essere entrata in un territorio minato, Samuele si irrigidì e il suo sorriso sfumò in una debole smorfia.

«Lo sai che non ci sentiamo».

«Ok ma... non ti hanno neanche fatto i complimenti oppure anche solo un messaggio per...».

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now