10 ~Uno contro uno~ ✔

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Quando rientrai in casa trovai i miei genitori abbracciati sul divano che guardavano un vecchio film. Non si accorsero subito della mia presenza, mia madre aveva il viso disteso e non corrucciato come al solito, teneva una mano nei capelli di mio padre e disegnava cerchi immaginari con le dita. Lui invece aveva la testa dolcemente posata sulla spalla di lei e gli occhi socchiusi come se fosse in procinto di addormentarsi. Era la prima volta che li vedevo così vicini, sembravano una coppia di sposini freschi di matrimonio e non una che sta insieme da dieci anni. Cercai di camminare in punta di piedi per non far rumore e raggiungere la mia stanza ma, il parquet, mi tradì e scricchiolò. Mia madre si girò di scatto e, con la stessa velocità, tolse la mano dai capelli di mio padre e se l'appoggiò sul ginocchio, lui rizzò la postura sgranando gli occhi e concentrandosi sul televisore nonostante fosse iniziata la pubblicità.

I genitori non riescono ad abituarsi al fatto che un'adolescente di sedici anni sa benissimo cosa sia il sesso, penso che si auto impongano che, fino a quando non ci sposiamo, crediamo ancora alla favola dei bambini portati dalla cicogna o trovati per caso sotto un cavolo.

«Giusy, ti aspettavamo a cena», disse lei mentre si sistemava la gonna che ora ricopriva di nuovo metà degli stinchi.

«Ho già mangiato».

«Con chi?».

I suoi occhi divennero delle piccole fessure che mi scrutavano come un metal detector.

«Un amico», sospirai appoggiando le mie braccia sui fianchi come per farle capire che non ero disposta a continuare la conversazione.

«Samuele?».

«Sì», risposi a malincuore sapendo di mentirle e chiedendomi come potesse anche lei aver capito. Forse i sedici anni passati ad osservarlo mentre si allenava, con la speranza che un giorno si accorgesse di me, avevano colpito anche l'attenzione della Regina dei Ghiacci.

Ma adesso che Samuele si era finalmente reso conto che non ero più la bambina che si sporcava il body colorando con i pennarelli, ero io che lo stavo rifiutando. Forse mi ero talmente focalizzata su di lui da aver escluso il mondo intero, era come se stessi togliendo i paraocchi. Eppure mi sentivo sempre dubbiosa sui miei sentimenti, come se dentro di me vivessero due persone completamente divergenti.

«Non farti distrarre, le Olimpiadi sono tra due mesi», disse mia madre mentre si alzava per andare in camera sua.

Mio padre la seguì con lo sguardo e, mentre si chiudeva la porta alle spalle, le rivolse un dolce sorriso allusivo che nascondeva una promessa.

Sentii una fitta al cuore.

Come avremmo fatto ad andare avanti senza di lui?

Mio padre era la colonna portante di questa famiglia, era il collante che riusciva ad unire due personalità incompatibili come la mia e quella di mia madre.

«Stai bene principessa?», mi disse mio padre notando che avevo lo sguardo perso nel vuoto. Picchiettò con la mano sul divano in pelle e io gli scivolai in modo delicato accanto.

«Ho paura di perderti», bisbigliai.

Mio padre mi circondò con un braccio stringendomi al suo petto.

«Te l'ho già detto! Io ci sarò sempre anche se non potrai vedermi. Quando avrai bisogno di me, stringi il fermaglio con la farfalla e io verrò!», cantilenò come se mi stesse sussurrando una ninna nanna per farmi addormentare.

«Non sono più una bambina, non credo a queste cose».

Per trattenere le lacrime mi morsi con un tale impeto il labbro inferiore che sentii il sapore aspro del sangue.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora