11 ~Germani reali~ ✔

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Giorgio riuscì a regalarmi un dolce sorriso nonostante avesse il labbro gonfio. Aveva le mani nelle tasche dei jeans a sigaretta, gli occhiali da sole infilati nello scollo della canottiera morbida che gli lasciava scoperte le clavicole e i muscoli del petto accennati. Credo che la scelta di quella maglietta fosse stata fatta appositamente per mostrarmi il tatuaggio scuro che padroneggiava sul suo torace, le temperature, infatti, non erano ancora del tutto estive per quel tipo di abbigliamento.

Mi avvicinai a lui con cautela: «sono mortificata... ti fa male?», dissi spostando gli occhi dalla sua bocca contusa fino al taglio che gli divideva in due il sopracciglio.

«Ciao Giusy, è un piacere rivederti anche per me!», esclamò divertito.

«Scusa ma mi sento colpevole».

«Non devi assolutamente, tu non c'entri nulla!». Giorgio, con la sua mano delicata, mi spostò la frangetta sistemandomi i capelli dietro l'orecchio.

Una piccolissima parte della mia mente non riusciva ancora a capacitarsi di quello che era successo, immaginavo la scena eppure mi sembrava irreale, come in un film di fantascienza, possibile che si fossero picchiati per me?

Non avrei mai voluto questo, la violenza mi metteva sempre una certa agitazione e fui grata di non aver assistito alla scena.

«Siete stati due incoscienti! Potevate farvi male! Più male!», esclamai come se fosse un rimprovero.

«Siamo tutti e due maggiorenni Giusy, abbiamo solo chiarito una questione».

«Questione?», ripetei incredula.

«Il biondo voleva marcare il territorio e pensava che lo lasciassi fare», fece spallucce come per giustificare il suo gesto.

«Marcare... Non siete animali!».

Mi guardò torvo, di sottecchi, come se stesse cercando di capire quanto fossi arrabbiata.

«Se ti può far stare più tranquilla è stato lui ad iniziare», sussurrò sfoderando un sorriso sghembo.

Eppure le sue parole non mi tranquillizzavano affatto.

Non riuscivo a capacitarmi della violenza di Samuele, per quanto lo conoscessi sapevo che non era nella sua indole picchiare qualcuno, sapevo che era gentile e riflessivo, e che sarebbe arrivato a quel punto solo se fosse stato provocato.

Ma il viso segnato di Giorgio mi rivelava tutt'altro.

Mi fece capire che, anche se non lo vogliamo ammettere, ognuno di noi dentro di sé ha una parte oscura. Una bestia che teniamo in gabbia, celata a tutti ma viva. Quella che, quando decidiamo di scatenare o quando non ci rendiamo conto che si è liberata, è capace di farci commettere azioni che mai avremmo immaginato.

La mano di Giorgio scivolò sul mio polso fino a fermarsi sull'orologio: «che ore sono?», mi chiese.

«Le sei e quaranta», mormorai.

«Perfetto! Non sono ancora le sette!», esclamò eccitato mentre si girò verso la sua moto e mi passò il casco.

«Perfetto per cosa?».

«Sono uno che sta attento ai dettagli», rispose solenne.

Notai sul suo viso dipingersi un'espressione serena ma maliziosa allo stesso tempo.

All'improvviso dentro di me scattò il ricordo della serata passata sul tetto di Roma.

«Andiamo al mare?», domandai con entusiasmo convinta di aver colto nel segno.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now