7 ~L'uomo invincibile~ ✔

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Quando mi svegliai quella mattina non ero felice come mi sarei aspettata.

Insomma, sarei partita per Rio de Janeiro! Dovevo fare i salti di gioia!

Eppure qualcosa non andava. L'immagine di Samuele e Sveva era così nitida nella mia mente che uccideva tutto ciò che c'era di bello. Era come un parassita, si era annidato nella mia anima succhiando via la linfa vitale.

Mi alzai dal letto controvoglia, la stanza era in penombra ma riuscivo a scorgere il letto dei miei genitori vuoto, probabilmente erano già al palazzetto per sostenere la squadra maschile.

In realtà non avrei voluto andare.

Come facevo a tifare per lui? Come facevo a sostenere il ragazzo che mi faceva sentire in paradiso e subito dopo all'inferno?

Poi ripensai ai suoi incoraggiamenti durante la gara e alla forza che mi avevano dato, dovevo restituire il favore, in questo modo non mi sarei sentita in debito.

Indossai la mia felpa rossa preferita, legai i miei capelli scuri in una treccia morbida e mi misi un velo di cipria. Mentre uscii dalla stanza mi accorsi di un bigliettino che era stato infilato sotto la porta, diceva: "stai lontana da lui, non è un consiglio".

Rimasi per circa due minuti con gli occhi fissi su quel minuscolo pezzo di carta.

Ero incredula.

La scrittura in stampatello era lineare e standardizzata, chi l'aveva fatta non voleva farsi riconoscere. Quello che mi colpì fu la consistenza del foglio, era lucido come se fosse carta da lettere e soprattutto aveva delle sfumature rosa.

Che qualcuno avesse visto me e Samuele nasconderci nello stanzino degli attrezzi e avesse equivocato il tutto? Possibile che fosse arrivato al punto di minacciarmi?

Misi il bigliettino in tasca e lasciai l'albergo in direzione del palazzetto.

Arrivata all'ingresso mi dovetti fare spazio tra la folla, le gare maschili erano piene di ragazzine urlanti che non vedevano l'ora di adocchiare gli atleti con i muscoli a vista. Scrutai le tribune in cerca di un viso conosciuto, poi notai Lia con la mano alzata che mi faceva segno di avermi tenuto un posto.

«Non ti aspettavo più», mi disse non appena la raggiunsi.

«Non ero sicura di voler venire».

«La fama già ti ha dato alla testa?», mi domandò lei senza guardarmi, ma fissando il centro della palestra dove gli atleti sfilavano chiamati dallo speaker.

«No, che dici! Non mi andava tanto di vedere Samuele, tutto qua!».

Lei si voltò verso di me dubbiosa: «c'è qualcosa che vuoi dirmi?», mi domandò.

E così le raccontai ogni cosa, ero un fiume in piena, sfogarmi con lei mi faceva sentire libera e leggera, mi sentivo compresa. Lia sapeva ascoltarmi e tirarmi su di morale, eravamo sulla stessa lunghezza d'onda.

La gara era iniziata, seguivo con lo sguardo ogni movimento che faceva Samuele.

Adoravo guardarlo, era sempre sorridente, eseguiva degli esercizi complicatissimi eppure il suo volto risultava rilassato, come se non gli costassero sforzi sovraumani.

Fece una gara perfetta e, poco prima che uscisse il punteggio finale, lo vidi mentre scrutava tra la folla in cerca di qualcuno. I suoi occhi si posarono per caso su di me.

Mi sorrise e mi fece un cenno con la mano.

Nonostante tutto quello che era successo il mio cervello non riusciva a fermare il mio cuore, quest'ultimo sussultava ogni volta che i miei occhi si soffermavano nei suoi.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora