20 ~Lezioni private~ ✔

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Quando Samuele mi riaccompagnò a casa con la sua auto cercai di concentrarmi sulla serata appena trascorsa, tuttavia la scena vista al bar mi perseguitava. L'unica certezza era che, il discorso che avevo fatto a Giorgio, sembrava non valere con Samuele. Era tanto tempo che non mi sentivo così intima con qualcuno.

Quando arrivammo davanti casa mia aprii la portiera con cautela, mi sistemai gli shorts di jeans, chiusi tutte le zip della borsa da palestra e mi preparai a scendere. Fu un modo per prendere tempo, non sapevo mai come dovermi comportare con lui, non avevamo mai parlato di quello che c'era tra noi, anzi non ero neanche sicura che esistesse qualcosa. Fui sollevata nel vederlo scendere per accompagnarmi in quel breve tratto che divideva l'auto dal portone del mio palazzo.

«Allora eccoci qui...», dissi aspettando che lui esternasse i suoi pensieri, io ero troppo imbarazzata per espormi.

«Sì, eccoci qui», ripeté facendomi eco, sembrava che non ne volesse sapere di iniziare la conversazione. Avrei voluto scuoterlo per le braccia e urlargli di dirmi qualcosa, invece, continuava a giocherellare con le chiavi dell'auto che aveva in mano.

Eppure, l'adolescente ero io. Alla fine presi coraggio, sapevo che non sarei riuscita a dormire se non gli avessi palesato i miei dubbi: «ero al bar Garden martedì mattina», dissi con calma, «e ho notato che c'eri anche tu», conclusi non staccando lo sguardo dal suo volto per cercare di cogliere l'espressione sconcertata di chi è stato scoperto.

«Perché non sei venuta a salutarmi?», esclamò stupito.
«Non eri solo», tagliai corto.

Mi pentii subito di quella risposta impulsiva, avrei dovuto contare fino a dieci prima di aprire bocca, se la mia paura era che Samuele mi ritenesse una bambina, come potevo dargli torto ora?

Soprattutto, dopo ciò che c'era stato con Giorgio, non avevo il diritto di fargli la predica.

«Lo so», rispose e il suo sguardo racchiudeva un misto di pena e compatimento.
Mi sentii girare la testa per la vergogna.

Samuele si avvicinò e mi sistemò i capelli, ancora umidi dalla doccia, dietro l'orecchio: «sei gelosa?», mi chiese dolcemente.

«No insomma, noi non...», balbettai cercando una scusa.

«Perché io lo sono di te».

Mi sentii sollevata, nonostante non avesse colmato le mie perplessità. Mi abbracciò teneramente e poi appoggiò la sua fronte alla mia, i suoi ricci ribelli mi solleticavano la pelle.

«Sveva è solo un'amica, quando ti entrerà in testa?».
«Scusami è che vi ho visto lì mano nella mano e il mio cervello ha fatto due più due».

Speravo con tutto il cuore che non pensasse che fossi un'immatura, invece sorrise e mi mise un braccio attorno alle spalle: «ti va di fare due passi?».

Annuii anche se mi sentivo a disagio. Svoltammo l'angolo per imboccare una via principale, Roma la sera diventava un posto magico e romantico, le luci dei palazzi, la musica dolce che fuoriusciva dai locali e i fiorai che restavano aperti fino a tardi, ti facevano sentire viva. C'era un signore a un angolo del marciapiede che suonava il violino, la sua melodia era dolce e ipnotica e a me venne voglia di ballare.

L'incanto finì quando Samuele iniziò a parlare. «Io e Sveva ci conosciamo da tantissimo tempo, suo fratello veniva in classe con me, non eravamo amici strettissimi ma si era creato un legame di profondo rispetto per la nostra lotta al bullismo».

«Eravate vittime di bullismo?», gli domandai scettica visto e considerato che, i suoi muscoli, avrebbero fatto paura a chiunque.

«No, proteggevamo un ragazzo disabile che veniva bersagliato di scherzi e insulti».

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now