6 ~La resa dei conti~ ✔

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Finalmente era arrivato il grande giorno. Ero di nuovo qui, a Jesolo, esattamente un anno dopo la gara che aveva decretato, per un decimo di punto, la mia sconfitta.

Il palazzetto sportivo era proprio come me lo ricordavo, immerso nel verde con le ampie vetrate che permettevano di sbirciare cosa succedeva all'interno.

Il viaggio in pullman era stato estenuante, Lia non aveva smesso di parlare un secondo, a causa dell'eccitazione per l'essersi per la prima volta qualificata alla finale. Quello che distingueva Lia dalle altre ginnaste era la sua altezza, leggermente superiore alla media, e il suo fisico asciutto e slanciato che le permettevano di avere una tecnica invidiabile alle parallele. Peccato che i suoi muscoli meno sviluppati le procuravano qualche problema nel corpo libero.

Samuele, invece, non mi aveva parlato per tutto il viaggio, ogni volta che lo sorprendevo a guardarmi, distoglieva lo sguardo e si concentrava sul paesaggio che scorreva velocemente dal finestrino. Aveva gli angoli della bocca leggermente rivolti all'ingiù, non riuscivo a decifrare il suo stato d'animo, era triste o solamente concentrato per la gara imminente?

Gli avvenimenti dell'ultima settimana mi avevano scosso particolarmente, era come se il mio cuore fosse un gomitolo formato da tanti fili intrecciati che aspettavano qualcuno capace di districarli. Però, più il tempo passava, e più i nodi si stringevano rendendo difficile l'operazione.

Appena arrivai davanti l'ingresso del palazzetto restai folgorata. Si vedevano ginnaste che volteggiavano con i loro body sgargianti, ragazzi in canottiera che si sfidavano in prove di resistenza e allenatori che urlavano incoraggiamenti alle loro pupille.

Tutto era armonia.

Quello era il posto per me, come Itaca per Ulisse e, tornare lì, metteva in moto ogni cellula del mio corpo.

«Guarda Giusy», gridò Lia indicandomi la ginnasta con il body blu al centro della pedana: «è Anna Fiorucci, che emozione!».

Osservai Anna mentre effettuava con grazia le sue diagonali senza commettere nessun errore, lei era sicuramente l'avversaria da battere. Nella sua vita aveva vinto moltissimi trofei, la chiamavano la "leonessa", non solo per i suoi ricci ribelli che ricordavano la criniera di un leone, ma perché aveva superato un grave infortunio alla spalla e non si era arresa.

«Forza ragazzi, tutti a cambiarsi, non sprechiamo del tempo prezioso! Vi ricordo che la gara è fra poche ore», ordinò mia madre.

Nessuno rispose, ci dirigemmo verso gli spogliatoi come un gregge di pecore. Tutti erano tesi e concentrati, non volava una mosca, c'era chi si estraniava con le cuffie nelle orecchie, chi faceva stretching per distendere i muscoli e chi, come me, ripassava con la mente ogni singola sequenza di salti artistici.

Appena uscii dallo spogliatoio sentii l'aria riempirsi di un fastidioso profumo alla lavanda. Non ci misi molto a capire a chi appartenesse.

Sveva.

Riconobbi all'istante quella cascata di capelli rossi che avevo tanto odiato, il suo body rosa e la sua mania di abbinare i colori; era tutta completamente rosa, smalto, rossetto, ombretto e, perfino, le forcine che le tenevano fermi i capelli .

Anche se la odiavo con tutta me stessa, ero contenta che si fosse qualificata, questa gara sarebbe stata la resa dei conti. Mentre le passai accanto si girò e mi rivolse un piccolo cenno d'intesa io, di rimando, sfoggiai il sorriso più disinvolto che potessi fare.

Avevo lanciato la sfida, la guerra poteva iniziare.

Il riscaldamento prima della gara durò circa un'ora, ma per me passò in un baleno. Avevo inserito il pilota automatico e mi ero estraniata dalla realtà.

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now