41 ~Ascoltami~

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Mi diressi verso Samuele e, invece di sedermi sulla sedia che mi aveva indicato, mi misi a cavalcioni sulla parte finale della sua chaise longue in modo da poterlo guardare dritto negli occhi. Notai sul tavolino tondo in vetro posizionato di fianco a noi un bottiglia di birra, ormai finita, e un posacenere con dei resti di sigaretta, non ebbi il coraggio di chiedere se fossero i suoi, non volevo in alcun modo dirottare la conversazione su altri argomenti.

Samuele cambiò posizione e si mise anche lui a cavalcioni, mi guardava ma non riusciva a mantenere il contatto visivo, avambracci poggiati sulle cosce e mani strette in avanti, ogni tanto faceva scrocchiare le dita.

Quel rumore secco mi dava sui nervi e aumentava il livello della mia angoscia.

«Come è stata la cena?», mi chiese in modo innocente, forse per prendere tempo.

«Normale», risposi asciutta .

«Io non ho mangiato», esclamò con un piccolo accenno di sorriso, «cosa mi sono perso?».

«Pollo fritto».

In quel momento ero la degna erede della loquace Valeria Timi forse, sedici anni dopo, stavo finalmente seguendo il suo insegnamento. Non volevo rendere la cosa più facile per Samuele, volevo che dicesse le cose come stavano, senza preoccuparsi di ferirmi; visti gli ultimi avvenimenti avevo imparato che preferivo la cocente verità piuttosto che un'innocente bugia per indorare la pillola.

Un piccolo venticello iniziò a soffiare scompigliandomi la frangetta, «hai freddo?», mi chiese Samuele sporgendosi verso l'altra chaise longue per afferrare la sua felpa bianca con il cappuccio lì poggiata.

«No, grazie».

Lui si fermò lasciando scivolare il lembo della felpa che aveva appena afferrato: «non mi vuoi proprio rendere le cose più semplici eh?», sbuffò in modo evidente, forse per sottolineare quanto non amasse il mio atteggiamento.

Io mi chiusi in un ostentato silenzio.

Lui si passò una mano nei capelli con fare nervoso.

«Oggi è successa una cosa inaspettata, Giusy», iniziò a dire parlando lentamente, come se ogni parola fosse un complicato calcolo matematico che richiedeva uno sforzo smisurato, «ero riuscito a scordarmi di lei qui in Brasile, a non chiedermi più cosa stesse facendo e che diavolo di fine avesse fatto, a far tacere quella piccola vocina nella mia testa che si domandava: cosa sarebbe successo se fosse rimasta?».

Samuele fece una piccola pausa, chiuse gli occhi aggrottando la fronte, come se stesse cercando di ricordare un monologo che aveva provato tante volte ma che, ora, sembrava sfuggirgli.

«Non riesco a spiegarti quello che ho provato quando l'ho vista», continuò riaprendo improvvisamente gli occhi e posandoli su di me, «lei era l'unica certezza quando mi sono diplomato, aspettavo la fine del liceo con trepidazione, non vedevo l'ora di lasciare quella dannata casa in cui ormai ero un reietto, mio padre mi guardava con disprezzo come se fossi una macchia di vino rosso sulla sua costosa camicia di Prada, mia madre in qualità di avvocato mi ignorava, come se fossi una delle sue cause perse chiusa in un fascicolo impolverato nel suo studio, solo mia sorella ogni tanto mi riservava un mezzo sorriso, ma capii ben presto che non era altro che pietà».

«Queste cose più o meno le sapevo», dissi in modo duro cercando di non farmi ammorbidire dal suo racconto, mi ero ripromessa che avrei ascoltato e poi avrei tratto le mie conclusioni, dovevo evitare che le emozioni agissero al mio posto.

«E sai anche come ci si sente e cosa si deve fare quando una persona sparisce così?», mi chiese lui offeso, «e non una persona qualunque. La tua ragazza».

A un passo dal sogno - Let's Make It -Where stories live. Discover now