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Una ragazza alta e slanciata che indossa un camice bianco dal colletto bluastro sopra un maglioncino leggero color panna compare dall'arco che dà sulla sala da pranzo; so che è una delle infermiere, me l'hanno presentata questa mattina mentre io e la mamma visitavamo la struttura. Si chiama Irene, si è laureata da poco, ha gli occhi incredibilmente scuri e pare faccia colpo subito su qualsiasi persona.

Tranne su di me.

Avrei voluto prenderla a pugni per toglierle quel sorriso felice dal viso, quando mi ha porto la mano. E la mia voglia di farle del male è cresciuta ulteriormente quando, nonostante non abbia nemmeno accennato a volergliela stringere, lei non ha mostrato alcun nervosismo. I suoi denti bianchi sono rimasti fermi, in bella mostra, come se nulla fosse successo, mentre il suo braccio tornava steso lungo il fianco.

Scatto in piedi prima che possa entrare nella stanza e mi dirigo verso di lei; le chiedo di accompagnarmi in bagno e, sebbene sia sorpresa, accetta; mentre salgo le scale, stando bene attenta a contrarre ogni muscolo, la sento annunciare che sono le otto e mezza. Da ora, siamo liberi di fare quello che preferiamo.

A parte pisciare da soli, ovviamente.

In camera apro l'enorme borsa che non mi sono ancora data la pena di svuotare e cerco l'astuccio che contiene il mio spazzolino da denti ed il mio dentifricio. Irene è davanti alla porta di uno dei bagni del piano superiore; potrei chiedere di usare quello in fondo alle scale, ma non avrei alcuna giustificazione e lei non me lo permetterebbe mai, perciò aspetto in silenzio che faccia scattare la serratura. La stanza che si presenta davanti ai miei occhi è piuttosto piccola, con i muri ricoperti di piastrelle blu chiaro ed il pavimento in legno. Mi sciacquo la faccia e mi lavo i denti in pochi minuti senza fare caso all'imbarazzo stampato sul suo viso della mia balia del momento, poi la ringrazio ed esco.

Sono le otto e quarantasette quando, finalmente, mi butto sul letto con la speranza che nessuno, almeno fino a domani mattina, mi disturberà. La mia compagna di stanza deve essere ancora al piano di sotto, perché la sua metà è ancora esattamente come l'ho vista durante l'orario della cena. Potrei dormire - vorrei dormire - ma la Voce mi intima di aspettare che il silenzio riempia la struttura per tentare di smaltire quei maledetti fagiolini impregnati di olio che non sono riuscita ad eliminare completamente, perciò mi sento costretta ad afferrare l'unica cosa che sapevo effettivamente di avere portato con me in questo posto, il secondo volume della saga di Harry Potter. Il fantasy non è il mio genere ed ho già letto tutti i sette libri qualche anno fa, ma i romanzi che trattano gli argomenti troppo delicati - l'insicurezza, la depressione, il suicidio, la morte di un cane - non sono permessi all'interno di questo posto durante i primi due mesi di ricovero - anzi, trattamento, come lo chiamano loro - perché, a quanto pare, potrebbero farci venire strane idee in testa.

Come se non le avessimo già.

Sono obbligata a leggere per più di due ore prima che l'ultima luce bianca, proveniente dalla stanza di fianco alla mia, si spenga. Carlotta si è infilata sotto le coperte poco dopo le nove e, per fortuna, non si è sforzata di aprire una conversazione: è entrata in stanza accompagnata da Irene per prendere il suo spazzolino e mi ha rivolto un timido sorriso, poi è andata in bagno e, quando è tornata, ha quasi finto che non ci fossi - cosa che ho apprezzato.

Harry Potter mi ha permesso di bruciare all'incirca ventiquattro calorie in tutto; io sospetto di averne assunte almeno centoventicinque in più, e devo darmi da fare per consumarle, se voglio tornare ad essere magra come lo ero prima del ricovero.

Sono tentata di saltare, ballare, correre, perché so che sono le attività più efficaci, ma temo che Carlotta e qualche infermiere, al piano inferiore, mi possano sentire; sono certa che questi ultimi trascorrano l'intera notte con l'orecchio teso, pronti a cogliere ogni singolo rumore sospetto. Sospiro; sono obbligata a ripiegare sulla ginnastica semplice - ciò significa che impiegherò molto più tempo di quanto vorrei. Chiudo gli occhi, allontanandomi appena, con qualche passo silenzioso, dal mio letto, e ragiono: il mio braccio destro è ancora ingessato - la mamma mi ha spiegato che, quando il mio cuore si è fermato, mi sono accasciata su me stessa, frantumandomi il radio, e ciò significa che devo escludere le flessioni - ma, con qualche sforzo, penso di poter riuscire a fare diverse serie di addominali, di squat e di affondi.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereTempat cerita menjadi hidup. Temukan sekarang