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Prima di conoscerlo ero sicura della persona che ero; conoscevo le mie abilità, i miei punti di forza, i miei limiti. Quando ci siamo messi insieme, non molte settimane dopo quel primo bacio, lui sembrava vedere unicamente i miei successi; con il tempo, invece, aveva cominciato a minimizzarli: riusciva sempre a scovare un punto su cui criticarmi, mi ricordava che, per ogni traguardo tagliato, c'era un obiettivo che non avevo ancora raggiunto.

Con il tempo, poiché lui era una delle persone di cui mi fidavo maggiormente, ero arrivata a mettermi in dubbio. Se prima ero sicura di me stessa e conoscevo ogni mio pregio ed, ovviamente, anche ogni mio difetto, ora mi sentivo un pulcino bagnato che camminava lungo una strada buia, sconosciuta e deserta. Non ero più certa delle mie capacità: mi domandavo costantemente se i miei successi non fossero semplicemente una questione di fortuna, di una sfilza di pianeti che, allineati nel giusto ordine, mi avevano donato determinati risultati. Non mi sentivo più brava; mi sentivo una ragazza mediocre che, per via di qualche coincidenza fortuita, otteneva grandi vittorie tanto nell'ambito scolastico quanto in quello sportivo.

Michele aveva perso gradualmente l'interesse verso di me. La discesa era cominciata dopo che avevamo fatto l'amore per la prima volta, diversi mesi più tardi, quando non sono più riuscita a tenere testa alle sue sollecitazioni e ho ceduto. Per me era stata la prima volta in assoluto, per lui no; a me era sembrato magico, mi aveva dato la sensazione che saremmo stati insieme per sempre, che nessuno di noi avrebbe mai cercato nessun altro; lui, appena terminato, mi aveva dato un bacio leggero sulla fronte e aveva iniziato a digitare sul suo telefono. Avrei voluto rimanere stretta a lui per ore, invece poco dopo mi aveva invitata a vestirmi e mi aveva accompagnata a casa.

Non volevo dare peso al suo comportamento. Mi ripetevo che era normale; forse per tutte le coppie funzionava in quel modo. Forse nei film si tendeva a romanticizzare troppo il momento, a rappresentarlo in maniera irrealistica, eccessivamente romanzata. Forse; ma provavo vergogna e paura al solo pensiero di parlarne, di confrontarmi con le mie amiche. Avevo il terrore di scoprire che il suo comportamento non fosse normale; non volevo mi guardassero come se fossi un'ingenua, non volevo che provassero pietà per me.

Il suo cambiamento era stato lento, ma evidente. Pian piano aveva smesso di chiedermi della mia giornata; quando tentavo di raccontargliela, magari lamentandomi per un piccolo problema che avevo avuto a scuola o durante l'allenamento, lui si dimostrava annoiato, replicava dicendomi che a lui era andata peggio. Andava avanti per diverse decine di minuti a spiegarmi il motivo per cui per lui la vita fosse più difficile della mia, mi ripeteva che io avevo tutto e lui non aveva niente; finivo sempre per sentirmi in colpa per aver desiderato conforto, gli chiedevo scusa, lui mi invitava a riflettere su quello che avevo prima di parlare con lui, gli ripetevo che mi dispiaceva; ma ormai il clima era rovinato, e dovevo sperare che il giorno seguente si fosse dimenticato del mio sbaglio.

Mi portava ancora fuori, ogni tanto; qualche cena, qualche film, qualche gelato. Lo faceva per accontentarmi, per potermi poi rinfacciare ogni cosa. Preferiva rimanere in casa, preferiva fare l'amore, anche se non era completamente soddisfatto di me. Ero poco passionale, diceva. Non mi lasciavo andare, diceva. Mi voleva diversa, ma quando replicavo che chi ti ama lo fa per quello che sei, riusciva a convincermi che io non avessi capito le sue parole. Mi sentivo stupida; mi sembrava di stare facendo il possibile per lui, per avere il suo amore, il suo apprezzamento; e allo stesso tempo avevo la certezza che Michele non lo considerasse abbastanza.

Anche quando ci siamo lasciati - quando lui mi ha lasciata, dopo più di un anno che stavamo insieme, con una scusa - le cose sono rimaste uguali. Si faceva sentire giorno e notte; si assicurava che non andassi avanti, che non lo dimenticassi; mi controllava fingendo di essere ancora interessato a me, di stare riflettendo su un possibile nuovo inizio per noi, per la nostra relazione. Io lo pregavo; gli promettevo che sarei cambiata, che non avrei più sbagliato. Lui rispondeva che non mi voleva diversa; dopo qualche ora, però, ammetteva che non mi voleva nemmeno uguale. Gli chiedevo perdono per i miei sbagli; lui non perdeva mai l'occasione di rimproverarmi ugualmente. Gli proponevo di vederci, supplicante; lui non voleva, diceva di essere occupato, di avere altri piani, purtroppo. Non voleva vedere nessuno al di fuori di me, ma ero l'unica per cui non riusciva a trovare il tempo.

Non mi interessava camminare in un mondo in cui non potessi baciarlo; non mi interessava parlare, perché lui non mi ascoltava più; non mi interessava studiare, saltare, ballare. Il mio mondo era diventato lui. L'unica cosa che mi importasse era la sua attenzione, e l'avevo persa. Non sapevo come, perché avevo cercato di compiacerlo in tutti i modi. Correvo da lui ogni volta che me lo chiedeva, rinunciavo agli allenamenti, cancellavo appuntamenti fissati settimane prima, solo per vederlo; e non mi lamentavo se non faceva lo stesso per me. Mi ripetevo che ero importante, ma che era giusto che lui avesse una vita al di fuori di me; e io lasciavo che la mia, invece, venisse eliminata. Si arrabbiava quando uscivo con le mie amiche, ma poi lui faceva lo stesso. Io ho gradualmente smesso di vederle all'infuori della scuola o della palestra, lui trovava scuse per non uscire con me e vedere loro.

Mi aveva, inconsciamente o meno, svuotata. Non avevo più nulla dentro - passioni, interessi, voglie. Mi sentivo un involucro ed ero certa di meritarlo; perché non potevo essere nulla, senza di lui, senza la sua approvazione, senza il suo amore.

Il mio rapporto difficile con il cibo è cominciato in quel momento. Non ho smesso di mangiare; al contrario, inconsciamente, ho iniziato a riempire il vuoto che aveva lasciato in me con i miei piatti preferiti. Mia madre era contenta di potermi aiutare in qualche modo, si precipitava ai fornelli non appena tornava dal lavoro; cercava di coinvolgermi, io lasciavo fare tutto a lei. Mi sentivo impotente, incapace: Michele mi aveva ripetuto così tante volte, mentre cucinavo qualcosa per lui, che non era convinto di quello che stessi facendo, che lui avrebbe messo prima lo zucchero e poi le uova, che lui avrebbe cotto la pasta dieci secondi di più; quello che preparavo io era buono, diceva, però se l'avesse fatto lui sarebbe stato leggermente meglio. La cucina era stata una delle mie passioni; quando mi ha lasciata, ho smesso di maneggiare qualsiasi ingrediente. Lasciavo che fosse mia madre a mescolare, tagliare, cuocere. Io ero disponibile, ma solo per assaggiare.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora