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Il mio cuore si è fermato una mattina di inizio agosto, durante l'ultimo allenamento di danza prima della pausa estiva. Era il quarto giorno che mi allenavo senza introdurre una sola caloria all'interno del mio corpo, e i crampi allo stomaco mi stavano mettendo a dura prova già dal pomeriggio precedente; ma avevo ricevuto quattro domande sulla mia alimentazione, durante gli ultimi giorni di luglio, e non avevo intenzione di infrangere il patto che avevo fatto con me stessa.

Evitare il controllo dei miei genitori era stato facile – avevo passato gli ultimi giorni fuori casa, uscendo prima che si svegliassero e tornando quando, ormai, erano pronti per andare a dormire. Mi allenavo, passeggiavo per il centro della città, andavo in piscina; quando ero stanca mi riposavo sulla prima panchina all'ombra che trovavo, o all'interno di un McDonald's in cui avevo acquistato solo una bottiglietta d'acqua.

Dicevo di avere in programma di fare colazione in pasticceria con le mie amiche; in realtà trascorrevo la maggior parte della giornata da sola, perché i miei legami si erano interrotti. Al mio ritorno a casa, assicuravo di aver cenato all'interno della scuola di danza con i miei insegnanti e i miei compagni; invece, li avevo guardati mangiare mentre io continuavo a ballare al centro della pista per perfezionare i movimenti.

Quella mattina l'aria era soffocante; all'interno della scuola i condizionatori erano già accesi, ma non bastavano per rinfrescare l'intero ambiente. Stavamo ripassando la coreografia che ci aveva portati ad ottenere il secondo posto ai campionati Italiani e che, qualche mese più tardi, avremmo dovuto eseguire durante una competizione mondiale. Il nostro insegnante ci aveva mostrato quali passi aveva sbagliato ognuno di noi; e, mentre ripetevamo per l'ennesima volta una coreografia, avevo perso conoscenza.

I miei compagni e l'insegnante pensavano fossi semplicemente svenuta; eppure non riuscivano a svegliarmi, non avevo battito. L'ambulanza non ha impiegato molto ad arrivare, ma il mio cervello è rimasto senza ossigeno per quasi sei minuti – e pare che ne bastino quattro, solitamente, perché la persona subisca danni irreversibili.

Mi hanno ripetuto più volte che sono stata miracolata, quando mi sono svegliata, perché il mio sistema nervoso non aveva avuto alcuna ripercussione. Mi hanno detto che avrei dovuto essere grata della seconda possibilità che il destino mi aveva donato, che quello sarebbe dovuto essere un segno per farmi tornare la voglia di vivere.

Mi rendo conto, in effetti, di essere una su un milione, forse. Mi rendo conto che altre persone avrebbero meritato questa opportunità più di me. Mi rendo conto che altre persone avrebbero desiderato vivere più a lungo. E, se potessi, darei la mia seconda possibilità a loro, perché io non la voglio.

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A differenza dell'ultima volta, oggi Beatrice mi ha salutata con un abbraccio, prima di andarsene. L'ho sentita indugiare per qualche secondo mentre mi stringeva, l'ho sentita sospirare come se avesse rinunciato ad esternare i suoi pensieri - e le sono stata grata per questo, perché ho capito cosa avrebbe voluto dirmi: Sei troppo magra. Quando, infine, ha indietreggiato lentamente, ha sfoderato un sorriso che non avrebbe voluto essere cupo ed invece lo era. «Tornerò appena possibile» ha promesso.

Ho annuito in silenzio, poi l'ho guardata voltarsi ed aprire la pesante porta d'ingresso; attraverso le ampie finestre l'ho vista precipitarsi verso quella che doveva essere la sua auto, una Ford nera. Pochi secondi dopo esserci salita, i fari posteriori si sono illuminati e la macchina ha cominciato ad indietreggiare. Beatrice non si è voltata a guardarmi, mentre guidava verso l'uscita del parcheggio. Ha accelerato semplicemente ed è sparita, diretta verso l'ospedale Sant'Orsola di Bologna.

Verso sua madre.

Seduta a gambe incrociate sul letto, osservo la mia nuova parte di camera: le pareti, ora, sono decisamente più colorate. Ho deciso di fissare al muro in modo incorretto - con lo scotch: se mi vedesse mia madre, probabilmente mi soffocherebbe con il cuscino di fronte a tale imperdonabile azione - qualcuna delle foto che Beatrice mi ha portato: le ho lasciato quelle con i suoi genitori, prediligendo invece quella con suo fratello e le immagini raffiguranti paesaggi che, in passato, ho sperato di poter ammirare con i miei occhi. Ad alcuni chiodi, che fino a qualche ora fa spuntavano dall'intonaco senza alcun impiego, adesso sono appese enormi cornici che contengono poster differenti; qualcuno è una stampa di qualche citazione di una serie televisiva, un film od un cartone animato, altri sono semplicemente grandi fogli bianchi che recano frasi che non so a chi appartengano.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora