17

175 18 0
                                    




Il mio orologio segna le sei e dieci; è l'inizio di una nuova settimana. Mi piacerebbe rimanere sotto le coperte per un'altra ora e venti minuti, prima di scendere al piano inferiore perché Valeria monitori i miei numeri, ma devo alzarmi per fare qualche serie di esercizi. Carlotta sembra non essere ancora sveglia, per fortuna. Mi sdraio sul pavimento in un punto strategico della stanza ed alzo ritmicamente le spalle, contraendo gli addominali. Uno, due, tre, quattro, cinque - continuo finché il mio corpo non è stremato; solo allora decido di fermarmi per qualche secondo. Quando il mio respiro è nuovamente regolare, riprendo: in piedi, appoggio la mano sinistra alla parete e slancio ripetutamente le gambe all'indietro così da tonificare il sedere, poi mi dedico agli affondi.

Al termine della sessione esco dalla stanza e, silenziosamente, passo in rassegna i bagni del piano, sperando di trovarne aperto uno; ho ormai perso le speranze quando arrivo in fondo al corridoio dell'ala opposta a quella in cui si trova la mia stanza: la mia mano si appoggia sulla maniglia, la abbassa e spinge.

Con mio grande sollievo il legno si sposta, rivelando un piccolo bagno essenziale molto simile a quello di fianco alla mia camera. Chiudo silenziosamente la porta dietro di me e mi precipito davanti al lavandino: apro il rubinetto con forza e bevo, bevo, bevo; ingurgito acqua finché non mi sento scoppiare, finché non sono sicura che una sola goccia in più mi farebbe vomitare, finché non mi sento carica di un peso solo apparente che, tra qualche ora, non ci sarà più.

Torno in camera e mi infilo nuovamente sotto le coperte pochi secondi prima che suoni la sveglia di Carlotta; quando la sento, mi muovo lentamente e mugugno qualcosa, fingendo di essere ancora mezza addormentata. Attendo che lei si alzi e che scenda, prima di fare lo stesso, perché non ho voglia di interagire.

Quando arrivo al piano inferiore Valeria ha già iniziato da diversi minuti; solo cinque degli dodici pazienti sono ancora in fila. In attesa di sentire il proprio nome, qualcuno scambia un paio di battute con la persona dietro di lui; Cristina si morde nervosamente le labbra, lo sguardo di Erika corre senza sosta da un punto all'altro della parete. L'unica ad essere tranquilla è Anaya che, davanti all'amica, osserva la finestra in fondo al corridoio con l'ombra di un sorriso sul volto.

La coda si accorcia ogni cinque minuti circa, mano a mano che i pazienti terminano la visita; quando Erika, la quindicenne che mi precede, oltrepassa la porta, io rimango la sola persona nel corridoio. Il totale silenzio che avvolge l'ambiente mi permette di ascoltare la conversazione che sta avendo luogo all'interno della stanza.

«Buongiorno, Erika» saluta l'infermiera con la solita voce allegra, la stessa che rivolge ad ogni altro paziente. «Come stai?»

«Bene, credo.»

«Come hai passato questo fine settimana?» domanda. Poi aggiunge: «intanto siediti lì; verifichiamo la tua temperatura corporea.»

«Molto bene» risponde la ragazza. «Sabato, insieme ai miei genitori, sono venute a trovarmi anche le mie amiche» racconta vivacemente. «Anche se siamo dovute rimanere qui ci siamo divertite.»

«Trentasei gradi esatti» annuncia Valeria. «Non male. Dammi il braccio» dice. «E che cosa avete fatto?»

«Parlato, giocato, riso. Sai, solo quando le ho viste mi sono resa conto di quanto mi mancassero realmente. Non vedo l'ora di uscire e di godermi questi anni.»

Alzo gli occhi al cielo; non riesco ad evitare di scuotere il capo. Ingenua.

«La pressione sanguigna è ancora piuttosto bassa» commenta ancora l'infermiera. «Ora spogliati, per favore, e sali sulla bilancia.» Sento Erika obbedire, poi cala il silenzio per qualche secondo. Infine è Valeria a parlare nuovamente: «La scorsa settimana hai fatto ottimi progressi. Hai preso qualche ettogrammo tra sabato e domenica; possiamo ritenerci soddisfatti. Brava!» si complimenta.

Meno di un minuto più tardi, Erika sgattaiola con entusiasmo fuori dalla stanza ed, al suo posto, entro io.

«Buongiorno!» esclama Valeria nello stesso, identico tono che le ho sentito usare poco fa.

«Buongiorno» ricambio; il mio, invece, è piatto.

«Come va?»

«Come al solito» replico. «Starei meglio se fossi a casa mia.»

«Lo sai, Méabh. È per il tuo bene.» Poi mi intima di sedermi ed infila sotto la mia ascella sinistra un termometro digitale. «Come hai trascorso il fine settimana?»

«Normalmente» replico, alzando le spalle. «Anche ieri sono venuti solo mia madre e mio fratello, però non ci sono rimasta male; me lo aspettavo.»

«Ed è andata meglio della volta scorsa?»

«La mamma e Conor hanno evitato qualunque riferimento alle malattie, al mio incidente...»

«Incidente?» mi interrompe; un sorrisetto ironico è dipinto sul suo volto. «Un arresto cardiaco, secondo te, è un incidente?» Prende il termometro ed annuncia: «Trentacinque e uno; insomma...»

Anche la pressione non la convince, ma io non sono preoccupata: attendo pazientemente il momento in cui mi peserà e spero che il mio piano abbia successo. Quando mi ordina di salire sulla bilancia mi sfilo la lunga vestaglia ed appoggio i piedi sulla superficie fredda; a differenza di tutti gli altri giorni, oggi  non tento nemmeno di sbirciare il numero sullo schermo analogico.

Attendo che sia lei ad emettere una qualunque sentenza.

«Non posso crederci» mormora. «Non posso crederci, Méabh!» Sento l'emozione nella sua voce; per un momento penso stia persino per piangere. «Non me lo aspettavo affatto. Pensavamo che il sondino non fosse sufficiente ed, invece, questa prima settimana non sarebbe potuta andare meglio! Certo, pian piano dovrai riprendere a mangiare in modo autonomo, ma questo è un ottimo inizio!» esclama.

Le rivolgo il mio migliore e più falso sorriso e scendo lentamente dalla bilancia. «Meno male» commento, e lo penso davvero: meno male, è andata realmente come speravo; meno male, non sospetta nemmeno che il mio aumento di peso sia fittizio; meno male, sono riuscita ad ingannarli.

Infilo le braccia all'interno delle maniche calde della mia vestaglia e i piedi nelle pantofole e mi lascio stringere tra le braccia di questa infermiera per la quale, lo so, siamo tutti un po' figli. Indietreggia leggermente, mi guarda con occhi colmi di commozione e dice: «Hai scelto la strada giusta, Méabh. Questo è unicamente il primo passo ed avrai tanti ostacoli da superare, ma credimi, ce la farai. Prendi tutto il tempo che vuoi; noi siamo qui per te.»

Mentre esco dal bagno ho due pensieri.

Il primo: è vero, ho scelto la strada giusta. Ho scelto la strada dell'inganno, del raggiro, delle bugie. Ho scelto la strada della perfezione, della magrezza, dei numeri minuscoli; che, alla fine, è l'unica strada che conti davvero.

Il secondo: devo sapere il mio peso reale.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereWhere stories live. Discover now