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Stanno per staccare il sondino dalla sacca quando Emma spalanca la porta del piccolo ambulatorio in cui mi trovo ed annuncia che mia madre è arrivata e che mi sta aspettando fuori dalla clinica.

«Abbiamo quasi finito» annuncia Paolo, il medico sulla trentina che ha l'incarico di effettuare l'operazione.

Emma mi attende pazientemente di fianco all'entrata. La raggiungo con calma, con il tubo sottile che esce dal mio naso e ricade davanti al mio busto, vuoto. Sono consapevole del fatto che il mio buon umore sia temporaneo - prima dell'ora di cena il tubicino porterà di nuovo gli integratori al mio stomaco ed io ricomincerò a sentirmi in colpa. Davanti alla scalinata ci separiamo: io salgo al piano superiore e mi dirigo verso la mia stanza per prendere il cappotto e la sciarpa, la direttrice torna alla sua postazione; quando sente i miei passi risuonare nel silenzio dell'ingresso, alza lo sguardo dai documenti che sta esaminando e mi saluta.

«Ci vediamo tra qualche ora» dice.

Annuisco. «Che fortuna» mormoro.

Apro il portone principale ed esco dalla struttura: mia madre è appoggiata alla carrozzeria della sua auto; i suoi occhi, fino a qualche secondo fa fissi sullo schermo del suo cellulare, si posano su di me, e la sua bocca si apre in un sorriso.

«Buongiorno, tesoro.»

Mi avvicino a lei e mi lascio stringere in un abbraccio un po' meno vigoroso di quello dell'ultima volta. «Ciao, mamma.»

«Come stai?» domanda; la sua voce è un misto di emozione e paura.

Alzo le spalle. «Normale» dico. «Mi hanno liberata dagli integratori alimentari, quindi meglio di ieri, direi.»

Lei sorride, imbarazzata, poi propone di partire. Faccio il giro dell'auto e prendo posto sul sedile del passeggero; mentre allaccio la cintura gira la chiave all'interno del quadro, avviando il motore. Accendo la radio, lascio che una canzone commerciale riempia l'abitacolo, mi appoggio allo schienale e rivolgo il viso al finestrino accanto a me per osservare l'ambiente che cambia mano a mano che ci avviciniamo alla città.

Il viaggio è abbastanza piacevole; mia madre ha voglia di parlare, perciò abbassa il volume in modo che la musica si riduca ad essere un semplice sottofondo del nostro dialogo. Mi racconta delle diverse partite di Conor alle quali non ho potuto partecipare, dei suoi impegni lavorativi, di qualche pettegolezzo che sta correndo per il nostro paese di provincia e che ha letto su Facebook. Evita con cautela di nominare mio padre e, quando le chiedo di lui, risponde in maniera vaga, assicurandomi che presto verrà a visitarmi e facendomi capire che non devo insistere.

L'ospedale in cui rimuoveranno finalmente il gesso al mio polso è lo stesso in cui ho passato quattro settimane dopo l'arresto cardiaco. Si tratta di un complesso di edifici sui viali di Bologna di un tenue color mattone. La mamma infila l'auto all'interno di un piccolo spazio vuoto in una traversa di via Massarenti, poi scende e, prima di premere il pulsante di chiusura sul telecomando, aspetta che io faccia lo stesso. L'atrio del padiglione in cui mi toglieranno il gesso è ampio e luminoso, dal soffitto alto ed il pavimento in marmo. Da un lato, una gradinata conduce ai piani superiori; l'ambulatorio in cui ci aspettano si trova al terzo, ma mia madre non mi permette di raggiungerlo tramite le scale; sono costretta ad entrare nell'ascensore e a sentirmi schiacciata, sia dallo spazio piccolo e chiuso che dai sensi di colpa perché non sto bruciando nulla. Quando un rintocco metallico ci avvisa che siamo arrivate al nostro reparto e le porte di ferro si aprono scorrendo automaticamente, davanti a noi ci sono due donne, una più anziana e l'altra più giovane - devono essere madre e figlia. Entrambe mi squadrano, percorrono con i loro occhi dello stesso colore la mia intera figura; sul viso è stampato il loro giudizio, che corrisponde a quello di tutte le persone che si imbattono in me. Mentre esco dall'ascensore accennano un sorriso educato ed ipocrita che io non ho intenzione di ricambiare; continuo a camminare lentamente, guardando davanti a me; al contrario, prima di raggiungermi, mia madre rivolge loro un saluto che non meritano.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereWhere stories live. Discover now