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Hanno scoperto che, per diversi giorni, li ho ingannati.

Lo hanno scoperto perché mia madre, turbata dalle parole del chirurgo dell'ospedale, ha riferito tutto ad Emma, la quale ha avvisato Teresa che, a sua volta, ha informato Valeria; e, in questo modo, la voce si è sparsa a macchia d'olio per l'intera struttura. Nel frattempo, Carlotta deve avere informato nuovamente l'équipe delle mie sessioni di allenamento, perché quando sono tornata i loro sguardi erano già torvi. Hanno scoperto il mio peso reale - sono scesa a 36 chili e settecento grammi -, mi hanno convocata nella stessa stanza in cui mi avevano annunciato che mi avrebbero messo il sondino per comunicarmi in tono grave che li ho profondamente delusi.

Ora stanno bene attenti a chiudere a chiave ogni bagno, mi controllano ogni mezz'ora quando mi trovo negli spazi comuni e ogni quindici minuti quando sono nella mia stanza - anche durante la notte -, mi accompagnano ovunque; persino pesarmi con la piccola bilancia da viaggio che Beatrice mi ha gentilmente portato è diventato difficile. Gli altri pazienti mi guardano con un'espressione che è a metà fra l'invidia e il disgusto: la prima emozione è dovuta al fatto che io abbia l'attenzione dell'intera équipe medica addosso; quanto alla seconda, credo semplicemente che mi reputino quello che sono stati e che non vogliono più essere; hanno permesso che gli psicologi entrassero nei loro cervelli e che li convincessero che perseguire la perfezione sia sbagliato: ed io li disgusto perché, invece, non mi faccio incantare dalle loro parole.

È un giovedì di fine novembre; la clinica è già piena di ridicoli addobbi con la forma di stelle e alberelli che ci hanno costretti a realizzare nei giorni scorsi, come se avessimo cinque anni; l'atmosfera è allegra, quasi familiare, sebbene il numero di ragazzi sia limitato: a qualcuno di noi - Anaya, Nicola e Carlotta - è stato permesso di trascorrere qualche giornata con la propria famiglia.

A me no, ovviamente.

Ma non importa; non mi sarei aspettata il contrario.

Nell'aula dedicata a scrittura creativa, stamattina, solo due delle tre file di banchi sono occupate: io, come sempre, mi siedo dietro a quello più vicino alla finestra. Di fianco a me c'è Erika e, tra lei e Davide, è seduta Marta. Viola entra dopo tutti noi: oggi porta i capelli biondi raccolti in una crocchia disordinata e un paio di occhiali che le scivola sul naso appuntito; è costretta più volte a posizionarlo correttamente con un l'indice.

«Buongiorno» ci saluta, sfilandosi il cappotto ed appoggiandolo allo schienale di una sedia vuota. «Oggi faremo una cosa leggermente diversa» annuncia.

Non posso fare a meno di alzare gli occhi al cielo: si tratta di una fregatura, lo so.

Estrae dalla sua borsa un blocco di piccoli cartoncini gialli e quadrati simili ai post-it ed inizia a distribuirceli. «Come forse qualcuno di voi saprà, oggi negli Stati Uniti si festeggia il giorno del Ringraziamento» dice, ed io sono sempre più sicura che non mi piacerà quello che dovremo fare. «Dunque, ognuno di voi scriverà sul suo foglietto una cosa per la quale è grato...»

Appunto.

«... poi lo piegherà a metà e lo darà a me. Io li metterò all'interno di questa scodella» dice, indicando una ciotola di plastica di un rosa piuttosto sgargiante che si trova sulla sua scrivania, «e li mescolerò. Voi dovrete pescarne uno a testa; lo aprirete, leggerete ciò che c'è scritto e lo commenterete.»

Nessuno di noi apre la bocca, ma io devo mordermi la lingua per impedire alla mia di esternare quello che penso: sembra un'attività ricreativa per bambini che frequentano la scuola materna. Gli altri, però, sembrano piuttosto entusiasti; ognuno, eccetto me, è chino sul minuscolo foglio con la penna in mano. La prima a terminare è Marta, che consegna il biglietto a Viola dopo meno di due minuti dalla fine del discorso della psicologa. L'ultima, neanche a dirlo, sono io, che per trovare una cosa per la quale sono grata impiego ben sette minuti.

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereWhere stories live. Discover now