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«Scrivi una lettera d'addio al tuo disturbo alimentare.»

L'argomento di cui dovremo scrivere oggi è scritto, come ogni lunedì e venerdì mattina, a caratteri cubitali blu sulla lavagna. Viola, con addosso un maglione a collo alto color senape che quest'inverno ha già messo diverse volte, è appoggiata alla scrivania dietro di lei e ci sorride.

A differenza delle altre volte, oggi non devo fermarmi a riflettere su cosa scrivere, raccontare, confessare.

A differenza delle altre volte, oggi le parole mi vengono immediatamente.

Caro disturbo alimentare,

o meglio: detestato disturbo alimentare, perché di "caro" non hai proprio niente, nonostante per molto tempo mi sia sentita protetta fra le tue braccia; maledetto disturbo alimentare, questa è la prima volta che ti scrivo; ed è anche la prima volta che entro nell'aula in cui si tiene questa attività consapevole di quello che so, di quello che ho, di quello che voglio diventare, di quello che voglio – o non voglio – avere. È la prima volta che scrivo consapevole di non stare bene, di avere un problema; anzi, una vera e propria malattia. Perché, nonostante da diverso tempo – due anni, ormai – la gente accostasse a me il termine "anoressia", io ero certa di essere una ragazza normale. Ero certa che la mia ossessione per le calorie, il cibo, l'esercizio fisico, il peso... pensavo, anzi, ero sicura che fossero una cosa comune. Solo qualche giorno fa mi sono resa conto che no, la vita delle altre persone non gira attorno a tutti questi fattori, e che no, fino ad ora non ho vissuto.

Ricordi quando, puntualmente, ogni anno nello stesso periodo, a scuola qualche medico teneva una lezione sui disturbi alimentari? Ricordi di come trascorrevo ore, nel pomeriggio, a sforzarmi di capire cosa spingesse quei ragazzi a fare del cibo, qualcosa di così meraviglioso, una terribile e pericolosa ossessione? Ricordi che pensavo che dovessero essere davvero stupidi per ridursi in quel modo, per rischiare la morte a causa di qualcosa che era unicamente nella loro testa? A quanto pare sono una di quei ragazzi, mio orribile disturbo alimentare. A quanto pare sono davvero stupida anche io, nonostante, fino ad ora, io sia stata assolutamente convinta e fiera della mia spiccata intelligenza.

Il problema principale è che ora ogni cosa che faccio mi fa stare male, mi fa piangere come una bambina, mi fa tremare dal terrore, mi fa soffrire così tanto che mi sembra che ogni parte del mio corpo, esterna o interna che sia, sia ricoperta di ferite sanguinanti. Cosa pensavo, esattamente, la prima volta che ho deciso che avrei tagliato drasticamente la mia alimentazione? Certamente non avevo l'intenzione di far fermare il mio cuore, di finire per più di quattro mesi – e chissà quanti ancora – in una clinica per la cura dei disordini alimentari, di compromettere i rapporti con la mia famiglia; certamente non avevo l'intenzione di provare tutto questo dolore. Cosa pensavo, mio vigliacco disturbo alimentare? Pensavo che sarei stata felice, che sarei stata raggiante, che sarei stata bellissima, desiderata, invidiata, ammirata? Dio, quanto vorrei tornare indietro nel tempo e dire alla Méabh di allora che niente di tutto ciò accadrà. Quanto vorrei raccontarle di quello che dovrà passare, se deciderà di intraprendere quella via sbagliata ed ingannevole, quanto vorrei provare a convincerla a cambiare idea, quanto vorrei assicurarle che non c'è nulla che non vada, in quel corpo snello, reso tonico dagli anni passati a fare la cheerleader.

Mio crudele disturbo alimentare, adesso persino uno spicchio di mela mi fa piangere; persino una foglia d'insalata mi fa sentire in colpa; persino una sottilissima rondella di carota è difficile da tenere all'interno del mio stomaco. Per me, che non avevo problemi a mangiare ai Fast Food una volta a settimana; per me, che a pranzo, alla mensa del liceo, evitavo proprio l'insalata scondita, e invece chiedevo una doppia porzione di patate al forno che grondavano olio; per me, che facevo merenda con frullati al cioccolato, biscotti, ciambelle, caramelle; per me, che mangiavo persino il dolce dopo cena e che non mi sono mai preoccupata di tenere il conto di grassi, zuccheri e calorie. Che ironia, eh? Adesso mi ritrovo a temere, stupidamente, certo, che anche l'acqua che bevo abbia calorie.

Mio bugiardo disturbo alimentare; sì, "bugiardo", perché per tutti questi anni non ho fatto altro che ascoltare le tue menzogne, convincendomi che fossero vere. Ho iniziato a credere realmente di essere molto più che semplicemente grassa, di essere enorme, di essere stupida, inutile, noiosa, pigra, pazza, odiosa, antipatica, ripugnante. Ho cominciato a credere davvero di non meritare l'attenzione, l'amore o l'affetto non solo dei miei genitori, ma di qualunque persona mi si avvicinasse. Mi hai resa insicura e, soprattutto, mi hai resa cattiva. Mi hai riempita di una cattiveria che non ho mai avuto e che non pensavo di possedere, una cattiveria spiazzante che ha sconvolto non solo me, ma anche tutti coloro che mi circondavano. Ho paura di questa Méabh, che detesta sua madre e preferirebbe qualsiasi cosa ad una sua visita, che tratta male il suo adorato fratello, che prova qualcosa di molto simile all'odio per suo padre, che approfitta delle debolezze dell'unica persona che le si è avvicinata per ottenere quello che vuole. Così, ora, non solo ho paura di quello che mi circonda: cibo, persone, quello che c'è fuori da questa clinica; sono terrorizzata anche da me stessa. Come ne esco, mio sporco disturbo alimentare?

Sarà difficile, lo so.

Lo è già incredibilmente, come ti ho detto.

Ma ho persone meravigliose che mi aiutano: Teresa, soprattutto, in questi primissimi giorni mi è stata sempre accanto. Mi assiste durante ogni pasto, mi incoraggia pazientemente a mangiare ancora un boccone, riesce a capire se poso la forchetta per paura o perché non riesco più a introdurre niente nel mio stomaco. Mi segue quasi costantemente, domandandomi come io stia, come me la stia cavando, come mi senta, quali siano i miei pensieri. Valeria, invece, ogni volta che mi vede ha gli occhi lucidi; mi abbraccia, mi ringrazia per questo cambiamento, mi dice che è fiera di me. E che spera che questa volta sia quella buona.

Lo spero anche io.

I rapporti con la mamma hanno cominciato a distendersi. Appena ha saputo della notizia si è precipitata qui; non le è importato che non fosse orario di visita, non se n'è andata finché non mi ha vista. Ci siamo guardate per un interminabile secondo, poi siamo scoppiate a piangere. Così, come se, dopo tutto questo tempo, avessimo ricominciato a capirci con un'occhiata.

Mio spietato disturbo alimentare, sarà difficile imparare a vivere senza di te. Sarà difficile rinunciare al controllo, smettere di controllare le calorie sul retro della confezione di qualunque alimento, evitare di salire sulla bilancia ogni volta che le passerò a fianco, privarmi dell'esercizio fisico; sarà incredibilmente duro ricominciare a mangiare le patatine, ascoltare le voci gentili nella mia testa e non la Tua, riacquistare fiducia in me stessa.

Questa è la mia rinascita; mi sento di nuovo una bambina che deve imparare a vivere. Il problema è che una persona normale non ha bisogno di insegnamenti, cure, attenzioni speciali; una persona normale apprende a vivere guardando le persone che le stanno accanto e prendendole d'esempio. Io non ho saputo farlo, mio meschino disturbo alimentare; io mi ritrovo ad essere quasi un'adulta senza sapere cosa fare, come comportarmi, come affrontare le difficoltà, come camminare sulle mie gambe... mi ritrovo ad essere quasi un'adulta senza sapere come mangiare.

Ma non desisterò.

Mi sono stancata di questo ambiente così colorato eppure così triste, mi sono stancata di vivere segregata come una principessa, mi sono stancata di non poter incontrare nuove persone, di non poter andare al cinema, di non poter ascoltare musica dal vivo, di non poter studiare, di non potermi godere i miei vent'anni.

Sarà difficile, mio odioso disturbo alimentare; sarà difficile uscirne, sarà difficile essere di nuovo solo Méabh, e non Méabh, l'anoressica.

Ma ce la posso fare, ce la devo fare, ce la voglio fare.

Lo devo a tutti coloro che mi hanno sopportata durante questi tre lunghissimi anni.

E, soprattutto, lo devo a me.

Questo non è un arrivederci; è un addio.

Non ho più bisogno di te.

Non ne ho mai avuto bisogno, in realtà; ma mi ci è voluto qualche tempo per capirlo.

Mai più tua,

Méabh

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora