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La stanza che si presenta davanti ai nostri occhi, dopo che Emma ha aperto la porta, è ampia quanto il salotto comune del piano terra; i divanetti colorati che la riempiono, tuttavia, sono disposti a cerchio. Ce ne sono sei da due posti ed una poltroncina che immagino sia destinata alla psicologa di turno che, però, non è ancora arrivata. Le coppie sono già state formate quando una donna bassa e secca dai capelli arruffati e color pece varca trafelata la soglia della porta; ovviamente, io sono l'unica ad essere seduta da sola. 

«Buongiorno» dice, cercando di riacquistare un respiro vagamente regolare. Rivolge un sorriso caloroso a Erika e Cristina, che ricambiano timidamente; dev'essere la psicologa che le segue e, probabilmente, hanno un rapporto migliore di quello che io ho con Teresa. «Scusate il ritardo; mio figlio mi ha fatta impazzire, stamattina. Io sono la dottoressa Laura Gabusi; seguirò le vostre terapie di gruppo» spiega. «Come i più veterani sanno, le sessioni si tengono a mesi alterni, ogni martedì e giovedì mattina dopo la colazione. Affronteremo diversi argomenti che, però, non vi anticiperò; in questo modo, non avrete la possibilità di preparare alcun discorso e direte semplicemente la prima cosa che vi viene in mente. Ci sono domande?»

La maggior parte di noi scuote la testa; qualcuno, invece, mormora un «no» sommesso.

«Bene» sorride, prendendo posto sulla poltrona nera, tra Ambra e Marta. «Oggi dovrete raccontare in che modo è iniziata la vostra ossessione per il cibo e la magrezza. Lasciate parlare i vostri ricordi; in questo gruppo nessuno vi prenderà in giro, potete dire qualunque cosa.»

Alzo la mano.

«Sì...?» dice, lasciando la frase in sospeso perché non conosce il mio nome.

«Méabh.»

Annuisce. «Dimmi, Méabh.»

«E se non ci fosse nulla da raccontare?»

Sul suo viso compare un'espressione interrogativa. «Cosa vuoi dire? Non è possibile.»

Faccio spallucce. «Certo che lo è. Per quanto mi riguarda, non c'è stata una scintilla che abbia fatto scattare qualcosa nella mia testa; un giorno mi andavo bene, quello successivo non più.»

«Beh» sospira, «se questo è ciò che pensi o ricordi, va bene; è comunque un racconto, sebbene non penso affatto che sia stato così semplice.» Si guarda attorno. «Chi vuole condividere la propria storia?»

Per diverso tempo nessuno risponde; molti si guardano attorno con la stessa espressione di chi rischia di essere interrogato e spera che il professore non chiami il suo nome, altri fissano il pavimento. Li osservo uno ad uno, e mi accorgo di che sono l'unica persona tranquilla all'interno di questa stanza; persino la psicologa ha un'espressione nervosa sul volto. Schiude la bocca per incoraggiare qualcuno a parlare; in quell'esatto momento, però, prima che riesca a pronunciare una parola, il braccio di Elisa si alza timidamente.

Sul viso di Laura compare un ampio sorriso rassicurante. «Prego, cara.»

La ragazza rimane in silenzio per qualche secondo, con le dita delle mani intrecciate ed i lunghi ricci castani che le coprono parte del viso. Le sue spalle, coperte da una camicia di flanella a quadri, si alzano e si abbassano seguendo il ritmo del suo respiro, il suo sguardo rimane fisso su un punto indefinito del divanetto su cui sono seduta io, il suo piede sinistro picchietta ripetutamente sul pavimento in finto legno. «La mia storia inizia a quattordici anni» dice, «e, quindi, va avanti da tre. Non sono mai stata magra; mi piace mangiare da sempre. Mia madre un tempo mi punzecchiava, raccontandomi continuamente che, da neonata, non smettevo mai di pretendere il suo latte» ricorda, accennando un sorriso. «E, più crescevo, più la mia passione per il cibo aumentava. Sono sempre stata la bambina cicciottella, con le guance piene e le cosce che, d'estate, quando erano sudate e sfregavano l'una contro l'altra, mi bruciavano. I miei genitori, comunque, non hanno mai fatto commenti; mi volevano bene nonostante la mia debolezza.»

SPRING - Storia di una ragazza che deve reimparare a vivereWhere stories live. Discover now