Capitolo XII

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Era l'alba. Alexander aveva preso in prestito la Multipla della madre ed era partito in direzione dell'odore di Kamila avvertito la sera prima. A prescindere dal fatto che fosse consapevole di star facendo una cavolata madornale, era ancora inesperto con gli odori, quindi non era certo di star procedendo nella giusta direzione. Per quel che ne sapeva, poteva anche averla sorpassata. Pensò di rallentare poiché, eventualmente non l'avesse trovata, almeno non si sarebbe allontanato troppo da casa.

I minuti passarono e finalmente l'angelo la percepì; era più vicina di quanto si aspettasse. Uscì fuori dalla carreggiata e parcheggiò l'auto a bordo strada. Si avventurò nel bosco e ci mise un po' a trovare un sentiero calpestabile. Un passo dopo l'altro, l'odore della demone diventava sempre più vivido e il cuore dell'angelo sbatteva sempre più violentemente contro la gabbia toracica.

Appena mi vedrà, mi ucciderà, lo so: allora perché cavolo sono venuto? E perché, al posto di tornare indietro, continuo a proseguire verso lei come un disperato?

Il telefonino trillò, segnalandogli l'arrivo di un messaggio, e lui balzò in aria per lo spavento. Era Anya.

'Stai bene? L'hai trovata?'

'Non ancora, ma ci sono vicino.'

Giunse in una piccola radura e la prima cosa che notò fu un fuoco di bivacco spento, ma ancora fumante, e uno zaino da escursionista abbandonato lì vicino. Forse era a caccia o forse... ce l'aveva alle spalle. Il tempo di un battito di ciglia e le braccia di Alex si trovarono intrappolate in una morsa salda. Sentì qualcosa pungergli il collo. Trattenendo il fiato, abbassò gli occhi e scorse dei lunghi artigli color del carbone premere sulle giugulari. Era decisamente Kamila: il suo fetore era ormai cristallino. Ma avrebbe dovuto sentirsi sollevato, per quello?

«Piombare alle spalle di un demone è la mossa più stupida che avresti potuto fare!» Ritrasse gli artigli, allentò la presa alle braccia e gli diede un calcio piatto sull'osso sacro che lo fece barcollare in avanti.

«Ehi! Guarda che non sono piombato alle tue spalle, penso di aver fatto abbastanza rumore.»

«Cosa ci fai qui? Hai deciso di voler morire?»

«No, ma ho preso una decisione ugualmente stupida: voglio venire con te.»

Lei, dapprima incredula, scoppiò a ridere di gusto. «Anche no, grazie.»

«Io e miei fratelli vogliamo sapere chi siamo e non è giusto che te la sbrighi tu da sola» insisté lui.

Kami portò le mani sui fianchi e si guardò un po' attorno. Restò in silenzio per diverso tempo, come se ci stesse davvero riflettendo, poi si umettò le labbra con la punta della lingua e domandò «Come hai fatto a trovarmi?»

Avrebbe dovuto risponderle, ma si era un attimo imbambolato a fissare le stesse labbra che ora aveva preso a morsicarsi. Deglutì. «La tua puzza, ovviamente» disse in un sussurro.

«Credevo di essermi allontanata abbastanza da Sitone.»

«Forse non per me. E tu, hai sentito il mio?» Alzò lo sguardo e i loro occhi si incrociarono. Deglutì ancora, questa volta a vuoto.

«Lo hai fatto di proposito?»

«Cosa, usare i miei poteri per attirare la tua attenzione? No. Ho un posto tutto mio in cui mi esercito, a circa metà strada fra qui e Sitone. Probabilmente è per questo che ti ho sentita: ho involontariamente accorciato le distanze fra noi. E tu hai sentito me, dico bene?» domandò ancora.

Immunda et Maledictus - Gli EléctaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora