Capitolo 19 - Una buona azione

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A Charles servono diversi minuti per riprendersi. Avevo anche pensato che un altro tipo di persona avrebbe potuto farmi scendere dalla macchina ed abbandonarmi a me stessa... ma non è nella sua indole. Semplicemente fissa la strada vuota davanti a noi, inspirando ed espirando profondamente. 

"Ok, ok." Ripete quella sillaba ad intervalli regolari, come se fosse un mantra. 

"Anne." Quando pronuncia il mio nome mi coglie di sorpresa, mi volto di scatto a guardarlo. "Qualsiasi cosa tu decida, qualsiasi davvero. Io sono con te. Sempre."

Ed io che avevo appena smesso di piangere, ricomincio, come una fontana. 

Non ero da sola. E per colpa di quella piccola vita che stava nascendo nel mio ventre, non lo sarei stata per un bel po'. 

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I giorni successivi dormo pochissimo. Mi obbligo ad andare a lavoro, perchè non posso permettermi di perdere altri giorni. A parte quello faccio veramente il minimo indispensabile: le carte del medico sono ancora sul tavolo dell'ingresso, non ho avuto il coraggio di sfiorare nemmeno gli opuscoli informativi. 

E' una cosa che affronto dopo una decina di giorni, con Charles che rientra dalla sua corsa proprio mentre sto consultando i documenti medici. Mi guarda tuttora stranito quando mi trova sveglia, visto che in passato a quest'ora ancora dormivo. 

Così mi perdevo lo spettacolo di vederlo con una maglietta appiccicata addosso. Dio, quanto ero stupida.

"Come stai oggi?" Si avvicina per baciarmi la punta del naso. "Scusa, sono troppo sudato..."

Io sorrido ancora un po' imbarazzata. Charles era stato splendido. Mi aveva ascoltato, supportato ed aiutato in ogni modo possibile. Dal portarmi avanti e indietro dal Sass, a prepararmi il primo tè o caffè della mattina. Era un ragazzo d'oro. E averlo tirato in mezzo in tutta questa storia mi faceva sentire orribilmente in colpa.

Io non l'avevo cercato, non l'avrei voluto ora. Fino a tre mesi fa dovevo fare economia per far quadrare i conti con lo stipendio, chi diavolo aveva mai pensato ad un figlio? 

Charles una notte mi aveva chiesto se volessi contattare Luc per "far sì che si assumesse le proprie responsabilità". Ma io l'avevo escluso a priori. Questa gravidanza sarebbe stata solo l'ennesimo pretesto per aver il controllo su di me, imponendomi una decisione che io effettivamente non avevo preso. No, Luc doveva stare lontano da me. Non avrebbe più avuto alcun diritto, né su me né sul bambino.

Ci avevo messo qualche giorno ad accorgermi di quel piccolo cambiamento. 

All'inizio parlavo di "piccola vita", "la cosa", "la creatura". Neanche mi trovassi in un film horror. Poi però il pensiero di dover tenere lontano Luc mi aveva portato a considerarlo solo "il bambino". E con quello avevo capito che l'interruzione non sarebbe mai stata tra le mie possibilità. Non ero contro l'aborto in senso assoluto, sostenevo la libertà di scelta in ogni sua forma. Semplicemente non la ritenevo un'opzione adatta a me. 

Crescere un figlio era fuori discussione, quindi l'unica possibilità rimasta era l'adozione.

Mentre Charles è occupato con la sua famiglia ho un colloquio con il mio medico, che si dice soddisfatto di vedermi con una decisione sicura. 

Non me la sento di affrontare il processo dell'adozione, tanto meno di averne una aperta. Preferivo rinunciare al riconoscimento appena dopo il parto e basta. Un neonato non avrebbe avuto problemi a trovare una famiglia. 

Quando rientro a casa trovo Charles in sala, con il cellulare in mano "Ehi, ti stavo chiamando. Dov'eri?"

"Ero dal dottore, ho preso una decisione." Mi fissa a lungo in silenzio. "Lo darò in adozione."

Si avvicina a passo lento, per poi appoggiare le mani sulle mie spalle "Ne sei sicura?"

Annuisco convinta. Avrei fatto una buona azione.

Lezioni di Piano // Charles LeclercWhere stories live. Discover now