Capitolo 41 - Sensi di colpa

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Alla fine era arrivato il momento del nostro gran premio di casa. 

"Domani ti andrebbe di venire a vedere le prove libere?" La domanda di Charles mi coglie un po' impreparata. Avevo pensato di partecipare solo allo stretto necessario, cioè alle qualifiche e alla gara. "A Barcellona mi hai portato fortuna." 

Il fatto che me lo domandi mi fa capire quanto abbia bisogno di avermi vicino. E quindi non posso rifiutarmi "Fammi chiamare un attimo Odette se può tenere la piccola."

Purtroppo la mia fidata baby-sitter ha un impegno. Pascale al contrario è disponibile e come sempre entusiasta di passare del tempo con la propria nipotina. 

Citofona puntuale a casa nostra il giorno successivo. Controllo di avere cellulare e chiavi nella borsa, oltre al pass per il circuito, ed esco. Avrei potuto chiedere un passaggio, ma la strada non è molta. E anzi, avrei rischiato di far rimanere il povero Will imbottigliato fino a chissà quando. 

-

Le prove libere vanno bene, sembra che i meccanici abbiano risolto il problema dello scorso gran premio sulla monoposto di Charles e che tutto stia filando liscio. 

"Devo restare qui ancora un paio d'ore, non ti chiederei mai di aspettarmi qui per tutto questo tempo. Ci vediamo a casa?"

"Certo." Bacio Charles augurandogli buon lavoro, e mi incammino verso il nostro appartamento.

Apro la porta d'ingresso facendo meno rumore possibile, non voglio correre il rischio di svegliare Léa nel caso stesse dormendo. Pascale infatti mi viene incontro parlando sottovoce "Ehi, hai fatto presto."

"Sì, Charles ne avrà ancora per un po', ho preferito tornare prima." Rispondo togliendomi il cardigan. "La piccola ha fatto la brava?"

"Ha dormito quasi tutto il tempo, è stata bravissima." Io e Pascale chiacchieriamo ancora per qualche minuto, prima di salutarci. 

Dopo aver dato un giro di chiave, entro nella stanza di Léa e appena la vedo capisco subito che c'è qualcosa che non va. E' pallida come il lenzuolo che la copre, ma con le guance rosse ed il respiro affannato. 

Cercando di mantenere faticosamente la calma, recupero il termometro frontale e in pochi secondi scopro che ha la febbre alta. Molto alta. 

Ormai sono in pieno panico, e devo concentrarmi al massimo per trovare il numero della pediatra sul mio cellulare. Una telefonata che viene rimbalzata dal messaggio "L'utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile."

L'unica possibilità rimasta è il pronto soccorso. Contatto Will, che fortunatamente è a disposizione in garage, e dopo aver vestito la piccola ed aver preso una coperta per avvolgerla corro fino alla nostra auto. 

Sentire Léa completamente abbandonata tra le mie braccia mi terrorizza ancora di più. 

"La prego Will si sbrighi." So che l'autista sta cercando di fare del suo meglio, ma la mia disperazione è al massimo. Mentre siamo in coda ad un semaforo cerco di contattare Charles, ma anche al suo posto risponde la segreteria. Dannate riunioni.

Telefono quindi a Mia, che invece mi risponde dopo solo due squilli. "Ciao Anne, che succede?"

"Ciao Mia, sei con Charles?" Dalla confusione che sento attorno temo proprio di no, e così è.

"No, sono ad un incontro con gli sponsor. Se avevi bisogno di lui posso..."

Non mi piace interrompere la gente al telefono, ma ormai siamo in vista dell'ingresso del pronto soccorso "Ti prego, vai a cercarlo e digli di raggiungermi il prima possibile al pronto soccorso. Léa sta male."

"Vado subito." Diretta al punto, ecco perchè adoravo così tanto l'addetta stampa di Charles.

Affido Léa ai medici, raccontando quanti più dettagli possibile. L'ultima settimana in cui sembrava infastidita, affaticata ma senza riuscire a dormire. Piccolezze, ma cose alle quali una madre avrebbe dovuto dare il giusto peso.

Devo allontanarmi da lei per far sì che le facciano esami e diversi controlli, ma quando mi accascio sulla sedia di plastica del corridoio mi sento perduta, come non succedeva da molto tempo. 

-

Non so quanto tempo trascorre prima che arrivi Charles. Ma sono sicura che Mia sia stata di parola, e l'abbia avvertito subito dopo la mia telefonata. 

"Come sta? Cos'è successo?" Mi domanda correndomi incontro. 

Io non ho nemmeno la forza di alzarmi dalla sedia. "Aveva la febbre altissima, non reagiva, non so ancora niente..." 

Adesso che lui è qui mi sento meglio e peggio allo stesso tempo: meglio perchè è accanto a me, peggio perchè capisco che è tutto vero, e la gravità di quanto sta succedendo mi fa scoppiare in singhiozzi. 

Ho passato anni a non piangere mai, e adesso sembra che passi il mio tempo a non fare altro. 

Sento lo stretto abbraccio di Charles che mi circonda, oltre a sussurrarmi parole dolcissime. Non so come faccia a mantenere la calma in questi momenti. 

Forse dovrei scusarmi per averlo disturbato a lavoro, ma ogni carezza che percepisco, ogni sua parola che sento, si porta via un millesimo della mia ansia. E a poco a poco, mi calmo. 

-

Il medico a cui avevo affidato mia figlia torna in corridoio con il volto scuro, facendomi quasi cedere le gambe. 

"Allora, dopo vari esami abbiamo capito il problema di Léa. E' una forma di meningite. Probabilmente in incubazione da alcuni giorni, e che è scoppiata solo oggi."

Abbasso le spalle sconfitta "Come ho fatto a non accorgermi di nulla?"

"Non si preoccupi, purtroppo succede con i bambini così piccoli. Una febbre leggera e un comportamento insolito possono essere facilmente scambiati con i fastidi della dentizione, non si colpevolizzi."

Annuisco, ma continuo a sentirmi responsabile. 

"La state già curando?" Domanda Charles.

"Sì, è in terapia con gli antibiotici specifici e una flebo per l'idratazione. Dovremo ricoverarla per qualche giorno per tenerla sotto osservazione, ma non dovrebbero esserci problemi."

Ringrazio il medico per la sua spiegazione, e poi finalmente ci viene dato il permesso di entrare. Léa è la sola occupante dei lettini in questa stanza: il che è una consolazione, non vedere altri piccolini in difficoltà, ma anche un ulteriore accento sulle condizioni della bambina. 

Vederla addormentata con tutti quei tubicini, aghi, e cerotti per il monitoraggio mi fa malissimo. 

Le accarezzo dolcemente la testa, l'unico punto in cui non rischio di staccare qualcosa per sbaglio. Non poterla abbracciare e cullare come al solito è una stilettata al petto. 

Charles sembra anche più colpito di me. Non dice nulla per diverso tempo, le accarezza un piedino scoperto e la fissa con quel suo sguardo concentrato, quello che finora aveva riservato solo a me. 

Possiamo solo aspettare e sperare.

Lezioni di Piano // Charles LeclercWhere stories live. Discover now