Capitolo 15. Familiarità

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Capitolo 15. Familiarità pt 2

"E sai che non ho un posto nel mondo quindi cercami dove il mare finisce"

Il mio congedo dal militare era ufficialmente finito; ricominciavo a lavorare due settimane prima dalla fine delle vacanze, perché Seoul si stava preparando alla caccia di due uomini: l'assassino dei resti ritrovati sul fondo del fiume Han e l'inf...

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Il mio congedo dal militare era ufficialmente finito; ricominciavo a lavorare due settimane prima dalla fine delle vacanze, perché Seoul si stava preparando alla caccia di due uomini: l'assassino dei resti ritrovati sul fondo del fiume Han e l'infiltrato nordcoreano. Non so cosa era accaduto al mio corpo dopo aver parlato con il maggiore Jun sulle ossa sconosciute ancora non identificate, ma quando mi misi in macchina per tornare a casa, una strana adrenalina mi percorreva dentro da cima in fondo, e il desiderio di mettermi a lavorare su quel caso, trovare e punire l'assassino di Jungkook, divenne il mio unico e solo motivo per continuare a respirare. Avrei vissuto il tempo di acciuffare quel bastardo e fargli fare la stessa fine di Koo, e poi me ne sarei andato anch'io. Era una consapevolezza abbastanza cruda quella a cui stava pensando la mia mente, ma senza Jungkook e Jay tutto aveva perso il suo sapore, e il solo pensiero di andare avanti sapendo che niente sarebbe più stato lo stesso mi metteva un sacco di ansia addosso: meglio farla finita allora, ma non prima di avere avuto vendetta.
Presi anche un'altra decisione, forse un po' avventata e sconsiderata dato le mie condizioni fisiche, ma volevo tornare a casa mia. In quei giorni in villa Park avevo dato solo dispiaceri a Jimin, facendolo preoccupare in continuazione per via dei miei comportamenti a volte, forse, un po' esagerati. Andando via sarei stato libero di non mangiare, piangere, stare a letto e disperarmi senza dovermi sentire in colpa per chi mi stava accanto.
Ero consapevole che probabilmente avrei di nuovo avuto a che fare con mio padre, ma arrivava ormai il tempo di crescere e prendersi le proprie responsabilità, affrontando gli altri e combattendo per i miei sogni senza farmi mettere i piedi in testa da nessuno, nemmeno da lui, la persona che mi aveva generato e che adesso mi odiava.
Non mi sarei mai aspettato che sarebbero accadute tutte queste seccature in una sola estate, tre mesi d'inferno, fatto di pianti, mancanza di respiro, tanta voglia di amare e poi di morire perché ero stato abbandonato da chi avrei voluto mi restasse al fianco per sempre. Una singola persona poteva sopportare tutto questo?
Jay era stato il mio posto felice, anche se per poco tempo. Se solo avessi avuto il coraggio gli avrei scritto grazie. Esistevano mille motivi per cui ringraziarlo ma il motivo che premeva di più, pungendo con la sua appuntita estremità il mio cuore, era grazie per essere andato via nel momento di bisogno. Lo odiavo per quello che mi stava facendo, e sebbene lo amassi con tutto me stesso, la rabbia che sentivo dentro per essere scappato via e non aver inviato nemmeno un messaggio, anche solo per dirmi che stava bene, prevaleva sull'amore infinito che provavo per lui. Non lo avrei mai perdonato.
Due lacrime solitarie mi percorrevano il viso mentre mi chiudevo alle spalle la porta di casa Park. Il sole si stava preparando a tramontare, ero stato a lavoro per tutto il giorno e ora che la mia mente non era più distratta dai miei obbiettivi, la mancanza di Jay si faceva sentire ancora più forte.
Mi affrettai ad asciugarmi gli occhi prima d'incontrare lo sguardo triste di Jimin. Forse avrei dovuto fingere di stare meglio, sorridere un po', parlare di argomenti spensierati e tornare a essere, anche se per un'ora soltanto, il Taehyung di prima di svegliarsi sopraffatto dall'asma e dal panico; quello che rideva anche delle cose stupide, che pensava a una futura famiglia insieme alla donna che amava, che si divertiva a fare pessime battute per nulla divertenti, che sorrideva delle piccole gioie della vita... ma una forza misteriosa dentro di me non mi permetteva di recitare una parte che non mi si addiceva più, quei panni ormai mi calzavano troppo grandi, non facevano per me.
Jimin stava preparando la cena, c'era un delizioso odore di ramen caldo e carne grigliata dentro la cucina immacolata e spaziosa di casa sua. Mentre Jimin, dandomi le spalle, tagliuzzava della verdura canticchiava una canzone pop, intonando alla perfezione le note con la sua voce dolce e alta. Mi ritrovai a incurvare leggermente le labbra, fu inaspettato. Quella visione mi aveva permesso di ricordarmi quanto fosse bravo a cantare, ed ebbi modo di riflettere sui miei pensieri di poco prima di entrare in casa: forse avevo semplicemente bisogno di stare insieme a Jimin e alle persone come lui.
«Dovevi proprio fare l'idol» interruppi il suo concerto, prendendolo così alla sprovvista che gli cadde di mano un peperone.
Si portò una mano all'altezza del petto mentre si girava verso di me, sussurrando a bassa voce qualcosa che non compresi ma che mi fece ridere debolmente. Ci stavo provando, strisciavo lentamente verso quello che sembrava essere "andare avanti".
«Taehyung! Mi hai spaventato» disse massaggiandosi, con espressione drammatica, il cuore.
«Perdonami»
Adagiai il cappello sull'appendiabiti e mi sedetti su uno degli sgabelli attorno al bancone che dava sulla cucina. Jimin fece un sorriso, i suoi occhi erano luminosi.
«Hai fatto tardi oggi, sei stato da qualche parte?» Mi domandò imitandomi: prese posto sulla sedia dall'altra parte e poggiò il viso su una mano, osservandomi con chiarito interesse.
Feci spallucce. «No, sono stato a lavoro fino a questo momento.»
«Oh, capisco! Novità?»
«Nessuna. Il maggiore Jun sospetta che chi abbia segnalato la posizione dei resti del bambino possa essere l'assassino stesso. Abbiamo trovato solo un piercing in mezzo all'erbetta circostante all'area, e niente più.» Dissi monotono, quasi come se avessi ripetuto più di una volta quella frase e che mi annoiasse anche solo l'idea di spiegarlo. In realtà però non era così, cercavo solo di trattenere la mia ira e la tristezza causati da tutto questo.
«Che situazione...» Sussurrò Jimin, poi mi scompigliò i capelli e si diresse verso la cucina per spegnere il fuoco. «Ho preparato il tuo piatto preferito» aggiunse mentre versava una generosa quantità di brodino dentro due ciotole capienti.
Non avevo fame, ma mi sarei sforzato di gustarmi quella cena per lui, il mio migliore amico. Non meritava quello che gli stavo facendo, dovevo rimediare anche se per una sola sera. Mi sarei sforzato di allontanare Jay e Jungkook dalla mia testa, giusto il tempo di mentire per Jimin. Giusto il tempo di tornare a respirare normalmente, anche se per qualche ora soltanto.
«Mmh, cibo da ospedale! Il mio preferito» lo presi in giro.
Apparecchiai la tavola per due, sorprendendo così tanto Jimin che per un attimo mi parve di vedere delle lacrime calde brillargli negli occhi. Fu un solo attimo, si voltò così velocemente che non ebbi modo di guardarlo attentamente per accettarmi che davvero così fosse, e preferii non chiedergli nulla. Piangeva per me? Piangeva perché stavo male?
Jimin si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. «Non ti costringerò a mangiare il ramen da ospedale, come lo chiami tu» fece una risatina mentre posava sulla tavola un piatto colmo di carne grigliata dall'aspetto invitantissimo. «Anche se mi piacerebbe vederti fare una dieta un po' più salutare, oggi sarei veramente felice anche se soltanto completassi la cena.» Si sedette accanto a me, e mi riempì il bicchiere di coca cola con le mani tremanti.
Mi veniva da piangere.
«Prima pensavo al ramen in realtà, vorrei assaggiare anche quello.» Risposi mettendomi in piedi e portando sulla tavola la mia ciotola piena di brodo e verdure.
Jimin mi fissava con gli occhi spalancati e lucidi.
Assaggiai un primo cucchiaio di ramen, riscoprendo così la meravigliosa sensazione di saziarsi e gustarsi un piatto di cibo in compagnia di una persona a cui vuoi veramente bene.
«È buonissimo, Jimin» dissi alzando lo sguardo verso di lui.
Mi ritrovai a deglutire a fatica quando lo vidi fissarmi con le lacrime che scorrevano sulle sue guance. Si nascose dietro le mani, e contro ogni mia aspettativa iniziò a singhiozzare.
«Jimin? Perché piangi...» sussurrai a mezza voce, già anch'io in vena di versare tutte le mie lacrime dentro la zuppa calda.
«Non puoi capire quanto io... sia preoccupato per te. Non te accorgi, ma sei molto dimagrito, sei continuamente pallido e i tuoi occhi non ne vogliono sapere di riacquisire luce. Per una settimana a oggi, sono stato in pensiero per te. Temevo che... non ti riprendessi mai più.» Balbettò con la voce rotta per l'emozione.
Non mi sono ancora ripreso, Jimin. Sto ancora lottando con me stesso e col mondo. Jay mi manca da morire e se non tornerà davvero mai più, una volta conclusa la mia missione, me ne andrò da questo mondo. Queste erano le parole che volevo dire, ma non avevo il coraggio di pronunciarle. Non volevo vedere Jimin soffrire.
«So che è difficile, Taehyung. Devi affrontare qualcosa che è più grande di te, ma non arrenderti. Jay è andato via e Jungkook è ancora disperso, non è semplice vivere così, ma non ti arrendere ti prego. Fallo per me, fallo per la nostra amicizia. Fallo perché ti amo come un fratello, e non sopporterei di vedere il mondo consumarti fino a farti sparire. Ti prego.»
Una morsa al petto mi fece tremare. Jimin, perdonami. Non so se riesco a mantenere questa promessa.
Abbassai gli occhi, tormentando il polsino della giacca con le dita.
«Mi dispiace, Jimin. Non volevo farti soffrire. Ho provato a fingere che tutto andasse bene, ma mi mancava il respiro anche al solo pensiero di prendere te e me stesso in giro. A dire il vero, non sto bene nemmeno adesso. Sento questa costante mancanza nel petto che non mi lascia mai tranquillo. Mi manca Jay, e non riesco a camminare per le strade di Seoul senza piangere, perché quei posti li ho visti con lui. Non avrei mai pensato che andasse a finire così... stava riuscendo a farmi riprendere, e poi è andato via. Non ho mai ricevuto un solo messaggio da parte sua, e adesso che ho di nuovo la mia scheda telefonica temo che, se fossi io a scrivergli, lui non mi risponderebbe.»
Jimin mi mise una mano sulla mia, l'accarezzava gentilmente mentre un sorriso molto debole prendeva il posto delle lacrime.
«E invece devi farlo. Scrivigli, digli quello che pensi. Sfoga la tua rabbia, e se veramente anche lui ti ama tornerà prima di quanto ti aspetti. Dai!» M'incoraggiò.
Scossi la testa, adesso in imbarazzo. Le guance si erano riscaldate e il mio cuore batteva bisognoso di scoprire se veramente sarebbe stato così, se sarebbe davvero tornato.
«No. Il fatto che se ne sia andato, per me, è già una risposta.»
Jimin non rispose, io guardavo altrove. Mi metteva ancora tanta timidezza addosso il fatto che Jimin sapesse ogni cosa di me e Jay.
«Beh, comunque non pensiamoci adesso. Ceniamo, sennò si raffredda tutto.» Disse infine.
«Sì, ceniamo» risposi distratto.

Mangiai tutto quanto, anche se forzatamente. Volevo solo che Jimin si tranquillizzasse un po' e che smettesse di piangere per me. Faceva già abbastanza male senza che lui versasse tutte le sue lacrime per colpa mia, non potevo dargli anche quei dispiaceri terribili.
Quando mi buttai a letto ripensai a un mucchio di cose, che riuscirono solo a farmi venire il mal di testa.  Non avevo ancora detto a Jimin che volevo tornare a casa mia, e in più i suoi consigli su come comportarmi con Jay mi continuavano a rimuginare in testa da quando li aveva espressi. Desideravo davvero scrivergli e il mio cuore mi supplicava persino di farlo, ma non avevo il coraggio. Temevo seriamente che non rispondesse, o che peggio riconfermasse ciò che ci eravamo detti. Cercai con tutto me stesso di allontanare la sola idea dalla testa, ma le mie dita fremevano. Mi ritrovai allora dentro la nostra casella dei messaggi,  l'ultimo accesso segnalato dall'app mi informava che Jay non ci entrava da una settimana. Pensai che fosse davvero impegnato con i nonni.

Ci rimuginai un paio di minuti sopra, giusto il tempo di capire cosa scrivere, poi le mani presero il controllo del mio corpo:

"Ciao Jay. Non so se hai ancora il mio numero di cellulare, se hai voglia di sentirmi o se ti sei già dimenticato di me. Sono molto deluso in verità: te se ne sei andato via, e mi aspettavo che mi inviassi almeno un messaggio e invece... Pare che io non esista più per te. Mi manchi, e vorrei tanto poterti rivedere. C'è la possibilità che tu ritorni un giorno? Mi sento veramente morire senza di te."

Mentre scrivevo una lacrima scappò dal mio occhio. Mi affrettai a inviare tutto, non volevo pensarci, e dopo averlo fatto posai il cellulare lontano dalla mia vista e cercai di dormire. Non mi aspettavo rispondesse, o almeno non subito, ma quando il suono stonato della notifica riempì la stanza scattai dal letto e ripresi il telefono. Il mio cuore batteva fortissimo.

Sul sentiero dei miei ricordi|Taekook🦋Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora