Capitolo 21. Un sentiero fatto di ricordi

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Capitolo 21. Un sentiero fatto di ricordi pt1

"C'eri nei giorni neri, quelli che piove troppo forte per stare in piedi"

Ho suonato il campanello con le dita che fremevano, e non dalla voglia di rivedere i miei incubi passarmi davanti nelle vesti di una famiglia distrutta, ma dal desiderio di andarmene via quanto più velocemente possibile

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Ho suonato il campanello con le dita che fremevano, e non dalla voglia di rivedere i miei incubi passarmi davanti nelle vesti di una famiglia distrutta, ma dal desiderio di andarmene via quanto più velocemente possibile. Non voglio essere frainteso, ma proprio in quel momento l'ultima cosa che volevo era stare nella stessa stanza della madre e del fratellino di Jungkook, troppo somiglianti a lui per potere sopportarlo. Per tanto sperai che il nostro colloquio fosse più indolore e rapido che mai, senza dovermi fermare troppo tempo a cercare di non scoppiare mentre guardavo il piccolo Jung-Woo sorridermi. Era qualcosa che non potevo tollerare, persino il suo nome somigliava a quello del fratello smarrito.
Dopo un paio di minuti, durati quanto ore nella mia percezione delle cose, la madre di Jungkook è venuta ad aprirmi la porta, e i suoi occhi si sono illuminati come una lampadina accesa in una stanza buia e chiusa. Mi sono irrigidito immediatamente non appena ci siamo guardati, e lei mi prese alla sprovvista avvolgendo le sue braccia amorevoli e calde in un abbraccio che sapeva di famiglia, mi sentii non esageratamente suo figlio. Da qualche parte dentro di me, mentre mi scompigliava i capelli in maniera affettuosa, ho percepito un calore confortante risalire dalla mia anima: in questo modo ho capito di essere veramente importante per lei, in fin dei conti ero stato il migliore amico di Koo, e certe cose non possono mai cambiare, nemmeno provandoci.
Mi ha dato modo di riflettere anche su situazioni ormai passate che non erano ancora state risolte. Io e mio padre provavamo ancora astio per l'altro, e sebbene dentro il mio cuore volessi andare a chiarire i battibecchi che ci avevano tenuto lontano fino a quei giorni, se prima non accettava le mie volontà e donava il giusto rispetto a Jungkook, allora non era qualcosa che potevo anche solo pensare di perdonare. Odiavo che il mondo fosse indifferente sulla scomparsa del mio migliore amico, e se tra queste persone c'erano anche i miei parenti più stretti dimenticare diventava ancora più difficile. Ma mi sarebbe piaciuto avere con i miei genitori l'affetto e l'amore che univa me e la mamma di Jungkook. L'atteggiamento della signora Jeon nei miei confronti lo desideravo anche da parte di mio padre: se solo lui mi avesse abbracciato forte quando mi sono allontanato da Somin, se solo avesse baciato la mia fronte quando sono svenuto per l'asma, il nostro rapporto sarebbe diventato unico al mondo, saremmo diventati padre e figlio. Invece, per una strana ironia della sorte, era stata la mamma di Jungkook a farmi sentire giusto e amato. Per questo mi sentivo in colpa ogni volta che mi costringevo a parlare con lei: per me, starci insieme, significa volerlo davvero, e invece per via dei miei traumi legati a suo figlio rendevo quei pochi minuti di sua compagnia un vero inferno. Non lo facevo di proposito, soffrivo solamente.
«Taehyung, stavo pensando proprio a te. Vieni, entra.» Disse quando ci staccammo dall'abbraccio. Mi prese una mano e mi trascinò in salotto, il piccolo Jung-Woo dormiva dentro al passeggino. Avevo le guance paffute e arrossate, l'espressione sognante lo facevano sembrare Jungkook, e con uno strattone al cuore fui costretto a distogliere lo sguardo e a stringere i pugni.
Siccome le gambe iniziarono a essere instabili, mi affrettai a sedermi su una sedia attorno al tavolo da pranzo, dando le spalle al bambino. Mi faceva troppo male quella somiglianza.
«Ddaebak! In divisa stai proprio bene Taehyung, sei davvero affascinante» aggiunse la signora Woo Young mettendomi una scatola di dolci sotto il naso, accompagnato da un bicchiere di succo alla fragola.
Ingoiai la bile, risalita dal mio stomaco con talmente tanta potenza da temere che avrei vomitato sopra al tavolo di legno. Non avevo fame, mi veniva la nausea al solo pensiero di bere anche un solo sorso di quella bevanda rosata.
«Grazie signora Jeon» feci un mezzo inchino educato.
«Ti ho detto di darmi del tu!» Mi rimproverò, mi diede anche uno schiaffetto giocoso sulla spalla.
«Mi perdoni, ma non riesco.» Finsi un sorriso, in verità la voglia di piangere non era mai passata.
«Sei troppo educato, Taehyung»
Il suono dolce di un carillon riempiva la stanza e mi aiutò a rilassare i nervi, un po' troppo tesi. Mi guardai attorno alla ricerca della fonte di tanta calma, trovando la scatola azzurra con una giostra dei cavalli proprio sopra il mobile davanti ai miei occhi. Ebbi la strana sensazione di conoscere quel piccolo strumento musicale, e ne fui catturato per un paio di secondi. Lo fissai con gli occhi lucidi, senza riuscire a percepire nulla intorno a me se non quella melodia meravigliosa. Apparteneva a Jungkook.
«Ti da fastidio? Se vuoi lo spengo. Aiuta il piccolo Jung-Woo a dormire, ma ormai è nel mondo dei sogni» mi distrasse la signora Jeon.
Scossi subito la testa. «No, lo lasci stare, la prego.Mi... mi fa sentire bene» sussurrai.
Sentii il suo sguardo addosso, ma io fissavo con occhi brucianti i tre cavalli bianchi continuare a girare a cerchio mentre le note della ninna nanna riempivano la mia testa di farfalle azzurre. Mi sentivo leggero, quasi addormentato. Pareva che niente potesse farmi del male là dentro, anche se ogni cosa riconduceva a Jungkook.
«Sì, ha un suono veramente bello» disse Woo Young.
Per un attimo restammo in silenzio, poi la dura realtà sul perché fossi andato a trovarla mi piombò addosso.
«Signora Woo Young, come sta? L'altra volta è svenuta.» Iniziai.
Non avevo ancora trovato il coraggio di scoprire chi avesse lasciato il pacchetto, per una strana ragione temevo che avrei sofferto.
«Sto bene, è stato un calo di pressione. Il dottore Jimin, quel tuo amico, è stato di vero aiuto.» Mi spiegò.
«Sì, lui è fantastico.»
Il mio migliore amico. Mi ricordai in quell'istante dell'ultima discussione che avevamo avuto, appena qualche ora prima dal mio arrivo in casa Jeon. I sensi di colpa che sentivo dentro di me per averlo trattato male mi attanagliavano. Come avevo potuto? Lui c'era sempre stato per me, in ogni momento, ogni sera, a ogni lacrima. Avevo tradito per più di una volta la sua fiducia, riducendomi a compiere quelle azioni che lui mi aveva sempre raccomandato di non fare, e soffrendo per non averlo ascoltato. Volevo un mondo di bene a quel ragazzo, ed ero così grato che in un mondo di indifferenti lui aveva sempre guardato nella mia direzione, porgendomi la mano. Non meritavo un tesoro così ricco.
«In verità, Taehyung... sono venuto a cercarti quando sono uscita dall'ospedale.» Disse cogliendomi di sorpresa.
«A me?» Domandai stupito.
Lei fece un cenno della testa. «Ho chiesto a tua madre l'indirizzo di casa tua, ma non ti ho trovato»
Faticai a ricordare che lo stesso giorno in cui lei aveva avuto quel malore, io ero svenuto per l'asma, e avevo dormito per due giorni interi.
«Non stavo bene, Jimin ha preferito tenermi in ospedale» ammissi abbassando gli occhi, omettendo i particolari del mio soggiorno in una camera vegliata di continuo da un medico.
La mamma di Jungkook annuì, forse non voleva essere invasiva per tanto non mi chiese nulla sulla mia salute. Probabilmente se n'era già accorta osservando i miei occhi stanchi e scuri, ormai tutti quanti mi leggevano dentro. Il diario che mi aveva regalato Jimin era stato trascritto dalla mia anima all'interno delle mie pupille, e se qualcuno si fosse preso la briga di decifrarli avrebbe capito ogni cosa senza chiedere niente.
«Come mai è venuta a cercarmi? C'era qualcosa d'importante che voleva dirmi?» Domandai per ingannare la mia mente, cercando di allontanare quanto più possibile dei tormenti che mi torturavano alla follia.
«Sì... c'era una cosa che volevo chiederti, ma è abbastanza impossibile e temo di risultare una povera disperata» rispose.
Curioso corrucciai le sopracciglia.
«Con me può parlare di qualsiasi cosa. Lo sa... le dissi di non perdere la speranza quando abbiamo parlato di...»
Jungkook. È un nome così semplice e bello, ho pensato, come fa a essere tanto dura nominarlo?
«Quando abbiamo parlato di... di...Jungkook» stavo quasi per piangere, era così difficile parlarne. «L'ho supplicata di non arrendersi, per cui se c'è qualcosa, qualsiasi cosa, che possa riaccedere in lei la speranza la prego di dirmelo senza nessun timore di essere giudicata. Io non giudico nessuno.» Le dissi.
Il primo ad aver perso la speranza ero io, ma per lei avrei fatto qualsiasi cosa.
«Sei un ragazzo tanto caro, Taehyung. Sai... quando ci siamo incontrati in ospedale, e abbiamo parlato del tuo amico... l'ho osservato e... sono una povera pazza. Credevo fosse Jungkook. Per un attimo quel ragazzo ha riacceso dentro di me la speranza, e nell'adrenalina di fartelo sapere il mio corpo non ha retto.» Sussurrò.
Spalancai gli occhi, sentendo invaso una sensazione di malessere puro. Anch'io ho sperato che Jay potesse essere Jungkook, molto tempo prima, ma ho accantonato l'idea di quell'inverosimile sciocchezza quando ho cercato in lui i particolari di Koo senza trovarli. Che strazio dover spezzare le speranze della signora Woo Young, perché quel fardello dovevo portarmelo io addosso?
«Lei non è impazzita, signora Jeon. Quando ho conosciuto Jay, io mi sono sentito bene, mi donava la strana convinzione di conoscerlo da più tempo di quanto mi aspettassi, e anch'io ho pensato che fosse Jungkook ma... vede... mi dispiace, mi dispiace tanto doverle dire che non è così. Ho cercato in lui la cicatrice sulla guancia e il neo sotto il labbro e... e Jay è solamente Jay. Nessuno di più.» Mi tremava la voce per l'emozione crudele che mi stava prendendo a pugni il petto.
La mia reazione contagiò anche lei, si portò due dita sugli occhi per asciugarsi la lacrime e in quel momento mi accorsi che, sul suo polso, c'era il bracciale di Jungkook, quello dorato con la J rovinata.
«Sapevo che blateravo e basta. Non è colpa tua, Taehyung» cercò di consolarmi mettendo una mano sulla mia spalla, nel frattempo Jung-Woo si rigirò nel sonno e ridacchiò, sognando chissà che cosa. Ho sentito dire che spesso, i bambini, ridono con gli angeli: magari era proprio suo fratello che lo rendeva tanto contento.
«Non tutto è perduto, le ossa ritrovate erano un falso. Ho bisogno di sapere chi ha lasciato questo bracciale in casa sua, signora Woo Young. C'è qualcuno che sa di più di questa storia, e io voglio scoprire cosa sta accadendo. Quindi, per caso, ha delle telecamere di sorveglianza fuori?» Chiesi impazienza.
Non dovevo soffermarmi a pensare a Jungkook. Non dovevo, perché sennò tutto sarebbe diventato ancora più difficile.
«No... ma credo che nel parchetto qui davanti ci siano. Se chiedi a chi di dovere potrebbero darti le registrazioni. Credi che riuscirai a scoprire la verità, Taehyung? Lo farai davvero?» Mi prese le mani e le strinse tra le sue.
Non ero nella posizione giusta di fare promesse, perché se non fossi riuscito a mantenerle sarebbe stato un dramma per me. Non avevo alcuna voglia di tornare in casa sua per dirle di non aver nessun aggiornamento. Mi si spezzava il cuore all'idea di vedere la delusione nei suoi occhi, ma... come facevo a dire di no?
«Ci metterò tutto me stesso, signora.»
Con un sorriso debole mi scompigliò i capelli, rendendomi più emotivo che mai.
«Sei sempre stato il più caro amico di Jungkook. Parlava sempre di te, eri il suo argomento preferito» mi sussurrò.
«Anche per me lo era.»
Chissà per quale ragione mi mancava sempre l'aria quando parlavo di lui.
«Quando ci siamo trasferiti a Seoul pensavo che la città avrebbe fatto bene al piccolo Jungkook. È diventato tuo amico, e allora mi sono convinta di aver fatto la scelta giusta. In famiglia c'erano solo diverbi in quegli ultimi periodi e pensavo che qualcuno potesse fare del male al mio Kookie. Qui mi sentivo al sicuro, lui era felice e questa era veramente l'unica cosa che contava per me.» Mi disse, con lo sguardo perso nel vuoto.
Non riuscii a fare altro che annuire, troppo emotivo per dire una sola parola.
«Aveva solo due anni quando siamo arrivati. Ricordo che non appena siamo entrati nella nostra nuova casa lui ha sorriso. Sono dei ricordi talmente indelebili nella mia mente che scordarli è impossibile.»
Mentre parlava mi ricordai della prima volta che ci siamo incontrati: piangeva all'ombra sicura dell'albero al parchetto. Un fremito mi percorse, come una scossa. Volevo dire alla signora Jeon di smetterla, stava spianando la via a quel sentiero fatto di ricordi e io non avevo le forze per sopportarlo ma... non ce la facevo a dirle di non parlare di Jungkook, perché in qualche modo la sua memoria la rendeva felice.
«Ti ricordi quando avete rubato una lattina di coca cola dal frigorifero? Non vi permettevo di berla e così voi l'avete rubata.»
Come in una scena del film, quell'immagine si aprì nella mia mente. Corremmo a rotta di colla verso la stanza di Jungkook, e sbatacchiammo quella lattina così tanto che appena l'aprimmo ci arrivò tutta addosso. Ridemmo a crepapelle.
«Abbiamo fatto un macello a terra» risposi con la voce rotta per l'emozione di un nuovo bellissimo ricordo acceso dentro di me.
«Sì... è stato divertente»
Jung-Woo face un'altra risatina nel sonno, e sua madre si concentrò sul piccolo figlio ancora addormentato.
«Sono stata così cattiva con Jung-Woo» disse all'improvviso.
La guardai con confusione, curioso di sapere a cosa si riferisse ma decisamente privo di coraggio per farlo.
«L'ho fatto crescere come se fosse Jungkook... che cattiva madre che sono»
Buttò il viso in mezzo alle mani e iniziò a piangere a dirotto. Mi sentivo spiazzato e confuso, in più l'aria faticava già ad arrivare nei miei polmoni per via dei mille ricordi che si erano appena destati dentro di me; io e Jungkook in bicicletta, poi davanti la TV a guardare i cartoni animati, da suo padre per imparare come fare gli origami, da mia madre per la merenda più buona di sempre. La testa mi girava, le orecchie fischiavano. Non era una buona idea starsene lì a farsi del male in quel modo, ma non potevo nemmeno andarmene via e lasciala da sola con il suo dolore.
«Lei non è una cattiva madre. Cercava solo una seconda opportunità» piangevo anch'io, così lei mi avvolse in un abbraccio.
«Non sopporto che non sia più stato ritrovato» singhiozzai sul suo orecchio. «Mi manca così tanto che a volte ho come l'impressione d'impazzire»
Lei non rispose, mi dava semplicemente conforto passandomi le mani sulla schiena, in maniera affettuosa e vicina; come la migliore madre di sempre.
Mi ci sono voluti dieci minuti buoni prima di riprendermi da tanta tristezza: la madre di Jungkook mi ha dato dei fazzoletti, poi un bicchiere d'acqua. Quando ho lasciato casa sua, un pezzo del fardello che mi portavo addosso si allegerì, di poco, ma era pur sempre un peso meno. Mi misi in macchina con l'unico intento di recuperare le registrazioni del parchetto vicino: ottenerle non fu per niente difficile, basta mostrare un distintivo e una certa autorità, e il gioco è fatto. Con la chiavetta ben stretta tra le dita mi avviai verso la base. Nel frattempo pensai alla madre di Jungkook. Che dolore doveva provare dentro il suo cuore, era una cosa che non avrei mai al mondo augurato a nessuno.
Stavo quasi per arrivare quando il mio cellulare squillò. Distratto dai miei pensieri risposi con poca serietà, ma mi ritrovai a dover fare i conti con qualcosa di molto grave e, tristemente, prevedibile. Rischiai di fare un incidente, mentre il maggiore Jun ripeteva nel mio orecchio:
«Abbiamo trovate delle mine antiuomo.»

Sul sentiero dei miei ricordi|Taekook🦋Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora