XXII. Ognuno tradisce a modo proprio

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Mai aveva sentito il peso degli sguardi nei corridoi di Hogwarts, mai, mai quanto allora

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Mai aveva sentito il peso degli sguardi nei corridoi di Hogwarts, mai, mai quanto allora.

Jupiter non ricordava il viaggio in se, non ricordava le svolte e i corridoi percorsi per lasciare il campo di quidditch e arrivare nella sua stanza, a quello ci avevano pensato i gemelli, a trascinarla come un corpo vuoto.

Come il corpo di Cedric, che adesso era vuoto perché lei egoisticamente aveva deciso di non guardare quelli stupidi film insieme a sua sorella, perché era stata debole, perché lei - orfana - non aveva nemmeno la forza di guardare un altro orfano sullo schermo come centinaia di altri orfani che lo usavano come scudo.

Non si ricordava il viaggio, no, ma le occhiate, gli sguardi, quelli si. Alcuni occhi erano pieni di rancore, ignari del fatto che lei si incolpasse tanto quanto loro lo stavano facendo. Alcuni erano intrinsechi di tristezza, forse pietà per lei, le anime più buone che le mandavano sguardi di conforto, sentendo la sua miserabile aura spezzata. Infine c'erano quelli spaventati, spaventati da Voldemort, spaventati da quello che lei sapeva, che poteva sapere e che non diceva.

Arrivò nella sua stanza, a fatica e con i piedi trascinati, la maglietta che indossava era leggermente bucata per colpa dei rami che l'avevano inghiottita nel labirinto, gli squarci erano arrivati alla pelle graffiandola e arrossandola, ma quel bruciore non faceva altro che distrarla momentaneamente dai suoi pensieri. Quando i gemelli finalmente la accompagnarono nel letto, i loro volti ugualmente segnati dalla tragedia, Jupiter si strinse il cuscino al petto affondandoci le unghie per non farlo nelle proprie cosce.

Se solo se lo fosse ricordato qualche minuto prima.

Se solo fosse stata più attenta.

Se solo lui non fosse stato incredibilmente preso dai preparativi delle prove, e lei dalle sedute in biblioteca e dalle uscite con i gemelli.

Se solo l'avesse incrociato nei corridoi, magari anche una sola volta, magari per una frazione di secondo, magari sarebbe ancora vivo.

<<Ju, non è colpa tua>> Fred si abbassò davanti al letto, la mano si alzò per appoggiarsi delicatamente sulla gamba della straniera, la sequenza di dita che non usava da tanto si fece risentire sulla pelle di Jupiter, la stessa sequenza di quando sapeva di dover essere delicato, la sequenza che gli assicurava che lei non scappasse perché lo faceva riconoscere senza bisogno di sguardi.

George aggrottò le sopracciglia e prese posto sul letto, cercando lo sguardo di Jupiter che però era fisso tra le lenzuola.<<Pensi che sia colpa tua? Ju, ju>> le toccò lievemente la gamba, facendole alzare gli occhi, e George deglutì sotto l'intensità di quelle iridi blu, la stessa intensità che avevano quando l'hanno conosciuta, solo che adesso erano ricoperte di uno strato di lacrime che pregavano di scappare. Per un secondo i gemelli si pentirono di tutta la confidenza guadagnata in quei mesi, del livello di fiducia raggiunto insieme alla straniera, perché era il livello che le permetteva di piangere davanti a loro - raramente certo - ma lo faceva, e vedere Jupiter Alpin piangere era straziante.

RIGHT || fred weasleyDove le storie prendono vita. Scoprilo ora