Capitolo 48

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Dylan

«Dylan, caro, sei davvero tu?» Balbettò la donna, seduta su una sedia a rotelle. Indossava un maglione sformato, che nascondeva il corpo magro e pallido. Si portò le mani dinanzi alle labbra, per coprire il leggero tremolio che scosse il suo labbro inferiore, mentre l'infermiere, alle sue spalle, la spinse sempre più vicino a me.

Quasi annaspando, cercò le mie mani e, avvolgendole con le sue, le portò al petto facendomi così abbassare all'altezza del suo viso. Notai solo in quel momento la flebo attaccata al suo braccio, così come i tubicini che le attraversavano il viso. La bombola era attaccata allo schienale della sedia.
«Ho pensato che dovessimo essere tutti presenti, non concordi ragazzo?» Disse mio padre, alzandosi dalla scrivania e raggiungendo sua moglie. Con un gesto del mento, fece segno all'infermiere si lasciare la stanza e, quando quest'ultimo aprì la porta, l'ultimo membro della famiglia fece il suo ingresso.
«Dylan.»

«C... Chuck? Cosa sta succedendo?» Balbettai, non riuscendo a capire cosa stesse succedendo. Il ragazzo appena entrato affiancò la donna sulla carrozzina, appoggiando una mano sulla sua spalla e sospirando, prima di incrociare i miei occhi con uno sguardo che non avevo mai visto prima... Uguale all'uomo che, con un leggero sogghigno, incrociò le braccia e sospirò.
«Ora sì che siamo al completo. Possiamo finalmente darti la buona notizia.» Ghignò Richard, prima di estrarre dalla tasca una lettera.
«Oh sono così emozionata.» Sorrise mia madre, quasi con fatica, portandosi poi le mani sulle gambe e intrecciando le dita.

Mi bastò leggere il nome sulla busta per capire cosa avessi davanti. Le lettere HARVARD erano scritte in stampatello maiuscolo ed erano la prima cosa che saltava all'occhio. La presi tra le mie mani, senza aprirla, per poi incrociare gli occhi con quella che era la mia famiglia.
Osservai Chuck, il quale scosse leggermente la testa e proferì le parole che mi colpirono dritte al cuore.

«Ci hai provato, Dy, ma è ora di arrendersi.»

***

Newt

Stavo raccogliendo le ultime cose nella mia stanza con fretta e furia, infilandole in uno dei miei borsoni. Finalmente dopo tanto tempo, sentivo un peso in meno sul mio cuore e potevo respirare un po' più facilmente.

Quel giorno mi sarei trasferito nella stanza di Mihno, prendendo così il letto di Tommy; al contempo Gally aveva fatto la richiesta per rendere la nostra stanza tripla e, dopo alcune discussioni e un po' di flirt da parte di Mihno, tutto era estremamente e stranamente filato liscio.
Il giorno in cui ne avevo parlato con gli altri, i ragazzi mi avevano spinto ad andare alla polizia, ma non ne avevo ancora il coraggio. Sapevo cosa fosse la cosa giusta da fare, ma era un passo decisamente grande e, soprattutto, complicato.

Chiusi il borsone e lo caricai sulla mia spalla ma, prima che potessi aprire la porta, qualcuno dall'altra parte bussò con troppa veemenza.
Mi raggelai sul posto e un brivido percorse la mia spina dorsale, nel mentre che stringevo con forza la cinghia della borsa. Aprii bocca per proferire parola, ma qualcuno mi interruppe.
«Newt, apri! Sono io, fammi entrare immediatamente!»

Iniziai a tremare nel sentire la sua voce e gli occhi mi iniziarono a bruciare. Era lui. Era venuto a prendermi.
Altri forti colpi fecero tremare la porta, finché, con quello che poi si rivelò un calcio, la serratura cedette e i nostri occhi si incrociarono.
«A... Alby... I... Io. » Non trovavo le parole, così come non sapevo che fare. Il telefono era nella mia tasca, ma non riuscii a muovermi abbastanza in fretta, perché la sua forte presa mi avvolde il collo e, lentamente, la stretta era sempre più forte.

«Mi hai rovinato la vita, brutto stronzo!- La sua saliva mi bagnava le gote, mentre continuava a sbraitare. Con le mani cercavo di fargli mollare la presa o ferirlo, così da poterlo allontanare.

-Non so come tu cazzo abbia fatto, ma la mia fottuta faccia è su ogni singolo notiziario! Il preside ha chiamato la polizia e stanno venendo a prendermi, merda!- Sbraitava come un cane abbaia quando si sente messo alle strette. Non aveva più vie di fuga, così come stava per succedere a me.

-Ma prima, voglio mostrarti cosa succede a mettersi contro di me! E voglio che tu lo ricordi per sempre, Newtie... -

All'improvviso allentò la stretta al collo, ma senza mollare, mi strattonò verso il letto, dove mi spinse contro di esso. A causa del movimento improvviso, la mia testa andò a sbattere così forte contro la testata del letto, che per un attimo vidi tutto nero. Nel mentre Alby si alzò per andare a chiudere la porta e, con non so quale forza, riuscì a spostare e in un attimo la mia cassettiera davanti alla porta.
Ero in trappola.

Non riuscivo ancora a respirare bene, ma quando la lingua di Alby si infilò con forza nella mia gola, sentii le mie gote bagnate dalle prime lacrime.

Provai a divincolarmi, disperato, come tutte le altre volte.
Cercai di mordergli le labbra, come tutte le altre volte.
Volevo morire, come tutte le altre volte.

Eppure, in un attimo, vidi di nuovo il suo volto. Gli occhi scuri, così come i capelli corvini. Un sorriso dolce, forse un po' sbilenco, ma il più bello che avessi mai visto. Ricordai i suoi abbracci e le sue calde labbra a contatto con le mie.
Dovevo rimediare, ma prima avrei dovuto combattere per ciò che amavo. E io amavo Tommy.

Chiusi gli occhi e inarcai la schiena, fingendo di dargli corda, infatti spinse la sua intimità a contatto con la mia in risposta. In contemporanea allacciai le gambe attorno alla sua vita e intrecciai le mie dita con le sue. Lui ne sembrava contento, estremamente, in quanto continuava a strusciarsi.
-Finalmente tiri fuori il tuo vero io, vero Ne...» Non gli feci terminare la frase, in quanto tiria il più indietro possibile il colpo e gli tiri una testata secca sul setto nasale.

Un urlo di dolore proferì dalle sue labbra e, a causa del dolore, si tolse da sopra di me e si appoggiò al materasso, impregnandolo di un liquido color cremisi.
Mi spostai immediatamente e, per poco non caddi dal letto, tanto la mia vista era appannata. Arrivai davanti alla porta e, con quanta forza avevo in corpo, cercai di spostare il mobilio. Ero ancora troppo debole.

Mi guardai attorno disperato, finché i miei occhi non si fermarono in un punto preciso: la finestra. Era tutto estremamente pericoloso, infondo la mia stanza era al terzo piano. Al contempo però sotto la mia finestra era presente una siepe, avrebbe potuto attutire il colpo.
«Cazzo... Che male...- Sentii Alby grugnire dietro di me e, questo, mi portò a smettere di pensare e agire.

L'uomo si alzò dal letto e, come se mi avesse letto nel pensiero, si gettò verso di me. - Non te lo lascerò fare di nuovo!»
Ma era troppo tardi. Con uno scatto, corsi verso la finestra e appoggiati il piede sul bordo. Con una leggera spinta, in un attimo ero nel vuoto e, per un attimo, sentii di nuovo la sua voce.

«... In questo modo potremo finalmente essere persone migliori, per noi stessi. Dobbiamo farlo separatamente.»
Ma no, non poteva essere così. L'avevo finalmente capito.

Tommy, Dylan o come diavolo voleva farsi chiamare, si sbagliava! Non tutti per migliorarsi hanno bisogno di essere soli, anzi, ci sono persone diverse, che si distaccano da quest'idea: per raggiungere la migliore parte di sé, a volte avere qualcuno al proprio fianco che ti ama così come sei, è la scelta migliore.
E io vovelo far parte di quelle persone insieme a Tommy.
Volevo essere diverso.

In un attimo sentii un tonfo e tutto si fece nero.




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⏰ Ultimo aggiornamento: Sep 19, 2023 ⏰

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