Capitolo 3

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Quando mi svegliai, il sole non era ancora sotto del tutto eppure Minho era già sveglio.

Teneva in dosso una canottiera nera e dei pantaloncini, ai piedi teneva delle scarpe da corsa e sulla testa aveva un cappello con la visiera.
«Dove vai? » Chiesi incuriosito.
«A correre, lo faccio ogni mattina. » Disse lui, mentre finiva di legarsi le scarpe.

Alzandomi dal letto, e dopo essermi stirato, lo guardai.
«Posso venire? »
«Se riesci a tenere il mio passo, certo. » Mi rispose con un tono di sfida e, incuriosito, accettai.

Tempo dieci minuti che indosso avevo una maglietta bianca e dei pantaloncini, con ai piedi delle scarpe che ero solito usare per correre.
«Pronto. Andiamo? »
«Certo. »

Apriamo la porta della nostra camera e, dopo averla chiusa a chiave, uscimmo dall'edificio.

La maggior parte del Campus all'esterno, era coperto da erba e alberi, ecci perché non eravamo gli unici a correre.

Ammetto che Minho aveva un passo veloce e costante, ma quegli otto anni a fare atletica mi erano serviti.

«Ieri mi hai detto che studi musica. Sai suonare qualcosa? » Mi chiese, mentre al nostro fianco passavano due ragazze con entrambe delle lunghe code bionde.

Ci avevano squadrati dall'alto in basso, mordendosi le labbra.
Oche.

«Pianoforte e chitarra. » Risposi mentre gli auricolari che tenevo nelle orecchie trasmettevano una delle mie canzoni preferite: Ride dei Twenty Øne Pilots.

«Wow! Niente male, sai anche cantare? » Feci un sorriso mentre lui mi faceva quella domanda.

La donna che, a insaputa dei miei, mi insegnava a suonare, mi aveva detto che la mia voce era ualacosa di unico. Spettacolare. Commovente.

Io sentivo solo un'orribile voce accompagnata da una persona rotta.
Rotta.
Era così che mi definivo: a differenza degli altri ragazzi nel mondo, ero sempre stato obbligato a mostrare il lato migliore di me, costruito solo dai miei genitori per far piacere agli altri.

Circondato da donne e uomini a cui non importava il lato interiore, ma solo l'immagine esterna. Stupide marionette, comandate da persone più potenti e dall'ego smisurato.

«La mia vecchia insegnante diceva che eri bravo. » Risposi, e tutto sembrava andare per il verso giusto, finché Minho arrivò ad un argomento non molto desiderato.

«E la tua famiglia? Cosa dicono? »
Mi fermai di botto, mentre Minho aveva rallentato notando la mia reazione.
«Possiamo parlare d'altro? Non mi va di parlare di loro. » Dissi, grattandomi dietro il collo con fare imbarazzato.
«Certo amico. Vieni, andiamo a mangiarci un hamburger! »
«Alle sette del mattino? » Chiesi io, mentre il ragazzo circondava le mie spalle con un suo braccio.

«È sempre l'ora giusta per un buon hamburger! » Quasi urlò lui, mentre camminava al mio fianco.

* * *

A pranzo, io e Minho incontrammo Brenda e Gally alla mensa. Feci le presentazioni, notando che il bruno e il biondo erano subito entrati in sintonia: avevano iniziato a prendersi ingiro a vicenda, ridendo per ogni commento dell'altro.

Scoprii che Brenda studiava Tecnologia, ma la sua passione era quella del violino. Gally sapeva suonare la batteria eppure studiava medicina.

Quel giorno, nella mensa, c'erano più persone, soprattutto in un tavolo appartato: tra tutte quelle ragazze, notai le stesse che avevamo incrociato la mattina stessa mentre correvamo.

Erano sedute sulle gambe di due ragazzi dalle spalle larghe e le braccia robuste. Continuavano ad accarezzargli i capelli o il collo, mentre incrociavano le gambe sotto il naso dei due.

Non mi sorpresi, informo a New York, alle superiori, ero nel loro stesso gruppo: i miei mi avevano, chissà che novità, obbligato ad iscrivermi al club di nuoto oltre quello di atletica.

Ero in ragazzo tutto fare praticamente: il tempi libero per me era un optional.
O studi, o fai sport.

Sommando anche le lezioni private, tutta la mia settimana era piena.

Mi sarebbe piaciuto iscrivermi al club di nuoto, ma se quello era il tipo di persone, grazie ma no grazie.

Tra tutte quelle persone, c'era un ragazzo che attirò particolarmente la mia attenzione.

Era al cento del tavolo, tutti cercavano di farlo parlare, ma lui gli ignorava tutti. Dei capelli color miele gli ricadevano sugli occhi scuri. Il fisico era asciutto, era molto alto e dalla felpa bordeaux che teneva indosso, spuntavano delle linee d'inchiosto.

Sentendosi osservato, alzò lo sguardo e per un attimo i nostri occhi si incrociarono.
Li distolsi subito.

Con la coda dell'occhio però, lo vidi sussurrare qualcosa all'orecchio di una rossa al suo fianco. Vidi anche lei guardarmi un attimo, sollevando poi le spalle.

«Brenda. Chi è quel ragazzo con i capelli biondi e la felpa rossa? » Le chiesi, mentre lei si voltava per cercarlo tra la folla.

«Quello che continua a guardarti?- Fece un sorrisetto malizioso, tornando poi seria. -Newt Sangster, il ragazzo che ti dicevo ieri. Quella affianco a lui è la mia amica del cuore. Sono fratelli gemelli, lei si chiama Sonja ed entrambi sono due stronzi. Giragli alla larga Thomas. Non c'è da fidarsi. » Pronunciò quelle parole con un po' d'amarezza, quasi come se avesse testato la loro fiducia.

E sentivo che era proprio così.

Quando finimmo il nostro pranzo, ci alzammo dai nostri posti con l'intenzione di fare quattro passi.

Stavamo per uscire, quando una voce femminile riecheggiò per tutta l'enorme sala.
«Perché mi tratti così?! Cosa ti ho fatto di male?!- Ad urlare era una ragazza, probabilmente una mia coetanea. Indossava una maglia maschile e dei pantaloncini che si nascondevano sotto la maglia. Il trucco era colato su tette le guance mentre altre lacrime le rigavano il volto. Stava parlando con il ragazzo biondo, il quale sembrava annoiato dalla presenza dell'altra.- Io ti amo! Non puoi abbandonarmi così come un cane! »

Newt alzò le spalle, spostando poi lo sguardo nella mia direzione. Ci guardammo solo per alcuni secondi, perché poi la ragazza gli tirò una manica del giubbotto per attirare la sua attenzione.

«Lasciami in pace Chris. Io non ti amo e mai lo farò, ora fammi il piacere di lasciarmi stare, okay? » Sbuffando, si voltò, dandole le spalle.

La ragazza che doveva chiamarsi Chris, fece voltare un'ultima volta il ragazzo, tirandogli così un forte schiaffo sulla guancia sinistra.

Rimasi a bocca aperta, così come tutta la mensa.
Piangendo, Chris uscì dalla mensa correndo lontano dal biondo.

Il silenzio aleggiava nella sala, o almeno finché non fu rotto dalle fragorose risate dei ragazzi del suo tavolo.

Dicevano diverse frasi tutti insieme, ma alcune riuscii a capirle:
«Finalmente te ne sei liberato! »
«Era ora! »
«Ora non ci romperà più! »

Chi poteva essere così insensibile da far soffrire una persona in quel modo?

Spezzare il cuore di qualcuno era spregevole. Da codardi.
Lo faceva solo chi aveva paura d'amare o di costruirsi un futuro. Oppure lo facevamo i coglioni come quel biondo e i suoi amici.

Ero rimasto ancora immobile, o almeno finché Brenda, accarezzandomi il braccio, mi richiamò alla realtà.
«Te lo avevo detto, non c'è da fidarsi. »

Annuii, ancora scosso.
Uscimmo dalla mensa in silenzio, eppure sentivo ancora il suo sguardo bruciare sulla mia schiena.

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