Capitolo 29

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Thomas

Entrare in quella casa fu come entrare in quella di un estraneo. Ormai ero abituato ai dormitori, sempre rumorosi, a Mihno che urlava dalla parte opposta del corridoio, Gally che urlava a sua volta, le risate quasi sguaiate di Brenda, Charlie e Chris... Ormai ero a mio agio solo in un ambiente del genere.

Il silenzio che riempiva le diverse stanze, invece, mi rendeva a disagio. Non ricordavo le pareti e i mobili... Quella non sembrava la casa dove ero cresciuto.
Mio padre, appena si staccò da me, si voltò subito e lo vidi asciugarsi  le lacrime che gli erano scappate. Riso leggermente vedendo quella scena.
Certe cose non cambiano mai.

Ci guidò all'interno del salone e, subito dopo, io e Newt abbandonammo le borse vicino al sofà. Guardandomi attorno, il mio sguardo cadde subito sull'enorme libreria, unica fonte di colore in uan casa dove il bianco e il grigio facendo da sovrani.
Fu in quel momento che mio padre si accorse di una presenza estranea al mio fianco e, appena si avvicinò a Newt, sorrisi leggermente.

«E tu saresti..?» Chiese il più anziano, squadrandolo dalla testa ai piedi. Il suo sguardo risultò essere freddo e al contempo intimidatorio. Proprio per questo iniziai a preoccuparmi e serrai i pugni, pronto a difendere Newt.
Il biondo, inaspettamente, sorrise con cordialità e, porgendo una mano a mio padre, si presentò.
«Salve, sono Newton Sangster. Sono un amico di Thom... Dylan.»

Era estremamente calmo, per niente influenzato dalle occhiatacce di mio padre che, dopo aver osservato la mano del biondo, la ignorò completamente e si rivolse a Chuck.
«Puoi preparare la stanza aper gli ospiti per questo... Ragazzo? Vorrei parlare con Dylan in privato, se non vi dispiace.»

Udendo le sue parole, non ne rimasi molto sorpreso. Mi voltai verso Chuck, Newt e Mary e, quando sorrisi leggermente e annuii, loro acconsentirono a lasciarci soli.
Accompagnato dalla coppia, Newt prese la sua valigia e il mio zaino e, in seguito, si incamminò verso le scale, tenendo sempre un occhio su di me, come se da un momento all'altro avessi iniziato ad urlare disperato.

Quando fummo soli, il silenzio calò nella sala e, quasi in imbarazzo, non riuscii a guardarlo in faccia.
«Sai una cosa, Dylan? Quando ti ho visto dietro quella porta, non ho saputo decidere se cacciarti a calci oppure prenderti a pugni...»

Le sue parole mi presero alla sprovvista e, proprio per questo, sollevati il capo di scatto e lo guardai con gli occhi sgranati.
«Che... Che intendi?» Chiesi, sentendo le ginocchia tremare e le mie insicurezze venire a galla.
«Intendo che sei la disgrazia che ha portato me e tua madre a toccare il fondo e rimanerci.- Continuava a tenere un tono fermo e pacato, così che non avrebbe attirato l'attenzione degli altri.

-Se tu non avessi avuto questa stupida idea della"fuga adolescenziale", io non sarei quasi caduto in banca rotta e tua madre non avrebbe avuto lo stesso incidente che l'ha portata ancorata a quel cazzo di lettino... Sai che molto probabilmente non si sveglierà mai più?-

Era come se mi stesse sputando sul viso del veleno corrosivo che, lentamente, mi corrodeva completamente.
Indietreggiai lentamente, menntr elui mi veniva sempre più vicino.
Fu in quel momento che ricordai perché fossi scappato: sentii le catene, le stesse mi avevano tenuto imprigionato per tutta la mia vita, stringere di nuovo i miei polsi.

-Però tu dovevi essere egoista, giusto? Dovevi pensare solamente a te stesso e non alla tua famiglia che ti aveva preparato un futuro perfetto in ogni singolo dettaglio...-

Il mio fondoschiena era finito controil piccolo mobile del salotto e, non sapendo a cosa aggrapparmi, strinsi il legno della piccola cassettiera.

-Ora che sei tornato da me, non ti lascerò più scappare. La tua fuga ribelle è finita, ora starai alle mie regole e farai quello che ti dico. E se non mi rispetterai, ci saranno delle conseguenze che tu non vorresti mai vivere.- Era completamente rosso in viso mentre diceva quelle parole.
Potevo vedere la sua rabbia uscire da ogni possibile uscita e, tutto questo, fu come un dejavu per me.

Eppure io non ero più lo stesso Dylan. Anzi, io ero diventato Thomas, un ragazzo che era capace di farsi rispettare, di fare le proprie scelte e, soprattutto, che non si faceva mettere i piedi in testa da nessuno.
Abbassai il capo e, quando sentii la sua mano viscida toccarmi la spalla, mi irrigidii.
-Sono felice che tu abbia cap...» Non lo feci terminare, perché con violenza scossi la spalla, così da allontanare la sua stretta da me.

Alzai il viso e fui compiaciuto dalla sua espressione, vedendomi così deciso e freddo.
«Taci. Devi solo stare zitto.
Per tutta la mia vita mi hai comandato a bacchetta, come un tuo stupido burattino.
Ma basta, sono stanco. Stanco di questa vita, di questa prigionia ma, soprattutto, di te. Tu non sei nessuno per dirmi cosa io debba fare, perché questa è la mia vita e comando io il gioco. Non tu, non mamma e nessun altro.-

Non riuscivo a fermare quelle parole, perché erano passati troppi anni in cui avevo cercato di bloccarle. Mi stavo sfogando e, in quel momento, mi sentivo la persona più felice al mondo.

-Io sono tornato perché, infondo, siete ancora la mia famiglia e devo proteggerla. Ma nulla di più. Appena mamma starà meglio, io prenderò le mie cose e tornerò da dove sono venuto, che tu lo voglia o no.
Quindi pulisciti bene le orecchie e ascoltami, non sono più il Dylan O'brien che ti ascoltava come un cagnolino. Ora sono Thomas Edison, un ragazzo che in futuro vuole lavorare nella musica.-

Stavo stringendo così tanto i pugni, che inizia a sentire i palmi bruciare ma, il calore che sentivo al centro del mio petto, era ancora più cuocente.
-Spero tu l'abbia compreso e, se non lo hai fatto, non è un mio problema.»
Quando finii di parlare, avevo il fiatone e sentivo il viso bollente.
Mio padre mi guardava come se, davanti a sé, avesse uno sconosciuto.

Allentai la presa e, in seguito, sbuffa stanco. Mi passai una mano tra i capelli e, in seguito, sollevati la montatura dei miei occhiali. Senza aggiungere altro, presi la mia sciarpa e il giubbotto, precedentemente lasciati attaccati all'attaccapanni, e mi voltai verso di lui.
«Dove vai?»
«A salutare una vecchia amica, chiamatemi quando vorrete andare all'ospedale, io vi raggiungerò lì.»

E dicendo questo, sbattei la porta alle mie spalle con forza.
Mentre attraversava il vialetto, Newt mi guardava allontanarmi e, con sguardo assente, mi osservò con una mano sul vetro.
Non potevo saperlo, ma in una mano stringeva il cellulare, dove il nome del contatto di Alby apparteneva alla chat.

Da: Alby
A: Newt
Piccolo angioletto, so che mi hai lasciato solo soletto per andartene con il tuo amico... Che stronzo che sei. Non vorrai mica che quella foto venga mostrata a tu sai chi, vero?

Le lacrime rigavano il volto angelico del biondo, rimasto solo nella camera. Si asciugò velocemente il viso e, velocemente afferrò la sua giacca e la mia ex-sciarpa, correndo verso l'uscita.

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