Capitolo 2

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Ero su un tetto.
Il palazzo era talmente alto che, in caso avessi guardato sotto, avrei visto piccole formiche e innumerevoli luci colorate.

Sentivo di non essere solo, eppure non vedevo nessun'altro, o almeno finché non la notai: un vestito bianco e lungo le lasciava la schiena scoperta, mentre i capelli si muovevano spostati dal vento.

Gli occhi azzurri mi guardavano impassibili, freddi.

Potevo vedere il suo tatuaggio sull'avambraccio, la sua piccola Terra collegata al mio aeroplano sullo stesso braccio.

Alzò, quasi avesse paura che si rompesse, il suo abbraccio puntandomi il dito contro.

Provò a dire qualcosa, ma non usciva nessun suono da quelle labbra.

«Non ti sento! » Urlai.
Lei fece lo stesso movimento delle labbra, ma l'esito fu lo stesso.
Più parlava, più i suoi piedi si avvicinavano al bordo del tetto.

«Ripeti! Per favore! » Dissi, mettemdomi le mani attorno alle labbra, così da amplificare il suono.

Ormai i talloni erano sospesi nel vuoto e sentivo un groppo in gola che non mi permetteva più di respirare.
«Non fare cazzate Teresa, ti prego, scendi da lì. » Provai a fare un passo in avanti e, quasi per minacciarmi, spostò una gamba così che fosse sospesa nel vuoto.

Mi bloccai sul posto.
«Teresa! Scendi! »

Corsi verso di lei, ma era troppo tardi.
Sgranando gli occhi, pronunciò poche parole ma di vitale importanza: «È colpa tua Tom. »

Poi cadde nel vuoto.
Urlai il suo nome più forte che potevo, nella speranza che lei mi avrebbe risvegliato con un abbraccio e una brioche al cuoccolato. Le mie preferite.

Eppure conoscevo bene cosa mi stava aspettando al di fuori della mia testa: l'Inferno.

Mi svegliai grondante di sudore.
La porta della stanza era spalancata e, sull'uscio, un ragazzo dai tratti asiatici mi guardava confuso.

«Hai bisogno di una birra amico? Non mi sembri in forma. » Disse preoccupato, senza muoversi dal suo posto.

Notai quasi subito le tre valige al suo fianco, accompagnate dai due zaini sulle sue spalle.

Sulla testa portava un cappellino blu e bianco da baseball, mentre la canottiera che teneva in dosso era di un giocatore di basket. Al dito anulare portava un anello d'oro massiccio, mi sembrava quasi una fede nuziale.

«Grazie, ma sto bene. Solo un brutto sogno... - Sospirando, mi alzai dal materasso, porgendo una mano al ragazzo. -Tu sei il mio compagno di stanza, vero? Io sono Thomas Edison. » Mi presentai, mentre l'altro ricambiava la stretta.

Aveva chiuso la porta con un forte calcio, così che il suono rimbombasse in tutto il corridoio.

«Minho Hong Lee. Ci divertiremo un sacco Thomas insieme! Sono del quarto anno, tu? » Disse lui, mentre posava i suoi zaini sul secondo letto libero.

«Questo è il mio primo anno in questa scuola, prima studiavo a New York. »

Nella nostra stanza, c'erano due materassi singoli a una piazza e mezza. Gli armadi erano rispettivamente l'uno affianco all'altro, mentre un enorme finestra si trovava sopra le testate de nostri letti.

Potevamo vedere la piscina da lì.

Una libreria quasi completamente vuota età vicino alla porta.
La polvere faceva da sovrano, ma c'è ne saremmo occupati il giorno a seguire, eravano troppo stanchi.

Minho si tolse la maglia e i pantaloni, rimanendo in boxer.

Aveva un fisico molto atletico, quasi palestrato, sembrava un ragazzo facile da far arrabbiare, eppure da come si era presentato non mi sembrava quel genere di persona.

Lo aiutai a fare il suo letto e quando finimmo, erano ormai le 3.00 del mattino.

Il sonno non sarebbe tornato facilmente e rifare quell'incubo, non mi andava proprio. Parlammo tra noi due.

«Cosa studi? » Gli chiesi, appoggiando la testa sulla testata nera del letto.
Si era steso sul suo materasso, rivolti verso di me con un braccio che gli sorreggeva la testa.

«Lingue. Non ho intenzione di rimanere confinato in questo paese, voglio andarmene.- Pronunciando quelle parole, era entrato in uno stato di trance, riprendendosi quasi subito dopo. -E tu? Cosa studi? »

Avevi voltato un po' la testa nella sua direzione.
Per un attimo mi sembrò di parlare con Chuck o Mary. Sembra davvero interessato a quello che dicevo, non come quando parlavo con i miei.

Al solo pensiero che non avevano ancora capito quali fossero gli interessi del loro figlio, la mia gola si chiudeva.

«Anch'io studio le Lingue, ma anche musica. » Risposi, con tono freddo.

Non volevo mostrarmi distante al mio compagno di stanza, ma mi era inevitabile al solo pensiero di loro.

«Hey, tutto bene? » Sembrava che si fosse preoccupato e questo mi sciolse un po'.
Forse un nuovo futuro mi aspettava se fossi riuscito ad essere meno rigido.

Gli sorrisi, quasi dolcemente, cercando di nascondere quanto fossi stanco.
«Scusa, è che in questi giorni non sono stato un attimo fermo. » Risposi, mentre lui annuiva non del tutto convinto.

«Allora dormiamo un po', ci conosceremo meglio domani. 'Notte. » Si coprì con la sua coperta, spegnendo poi la luce.

Ricambiai il saluto, coricandomi poi con la schiena rivolta verso di lui.

I miei occhi erano puntati sulla scrivania, anche se la mia mente era da tutt'altra parte.

Avrei potuto chiamare Chuck, ma da loro era piena notte e non volevo disturbarlo.
Lo avrei fatto il giorno dopo.

Different /Newtmas' AU/Where stories live. Discover now