Capitolo 28

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Brenda

Ero stesa sul letto nella mia stanza e, quasi come se fossi su un altro pianeta, osservavo un punto indefinito della stanza. Con la testa sul mio petto, Sonia mi teneva un braccio attorno alla mia vita e, con le dita, disegnava dei cerchi immaginari sul mio fianco.

Non pensavo ad altro se non a ciò che Thomas ci aveva rivelato. Sin dall'inizio avevo saputo che stesse nascondendo chissà quali scheletri nell'armadio, ma mai avrei immaginato qualcosa del genere.
Avevo sentito da qualche parte, su internet, la notizia di un figlio di una copia di celebrità che era sparito. Ma come potevo sapere che questo ragazzo in questione, fosse un mio amico?

Sentii Sonia muoversi leggermente e, in seguito, appoggiò il suo mento sul mio petto, guardandomi negli occhi.
«Tutto bene? Sembri strana...» Disse la bionda, portando la sua mano sulla ma guancia e accarezzandola con il pollice.
Spostai i miei occhi sul suo viso e, sorridendole dolcemente, annuii.
«Starei meglio se un certi qualcuno non mi stesse schiacciando i polmoni.» Scherzai e, in risposta, lei mi fece la linguaccia e mi pizzicò una guancia.
«Che simpatica...» Mi schernì lei, mettendosi poi seduta sul materasso e passandosi una mano tra i capelli biondi.

So sporse leggermente e prese il suo cellulare, abbondanato sul comodino affianco al letto. Lo accese e, in seguito lesse le diverse notifiche.
La notai sorridere leggermente e, subito, capii che Newt e Thomas erano arrivati sani e salvi e che il viaggio era andato bene.
Il rapporto tra quei due fratelli era sempre stato qualcosa di indissolubile e forte. Nessuno li avrebbe mai potuto dividere.

Eppure lei, in confronto a Newt, era ancora ingenua. Purtroppo non capiva quando il fratello si impegnasse a proteggerla e a garantirle un futuro stabile. Sicuramente lui avrebbe rinunciato ai suoi sogni, solo per esaudire quelli della sua piccola sorella.
E per questo, lo stimavo molto, anche se non glielo avevo mai detto.

Sonia spense il piccolo apparecchio e lo lanciò ai piedi del letto, prima di stendersi di nuovo, con la testa affianco alla mia. Stava guardando il soffitto e, per osservare meglio il suo profilo, mi stesi sul fianco.
«Cosa ti preoccupa?» Le chiesi, appoggiandomi sui gomiti così da vedere meglio la sua espressione leggermente corrucciata.
«Nulla di importante... Tranquilla...» Sussurrò, senza però convincermi neanche un po'.
«Avanti, parla.» Le dissi decisa, sednendomi a gambe incrociate e appoggaindomi alle ginocchia.

«Sto pensando a quei due... Sono preoccupata, non mi aspettavo una partenza così improvvisa... - Si sedette davanti a me, guardandosi le sue dita che si intrecciavano tra loro. -Deve essere successo qualcosa, ma Newt non ha voluto dirmi nulla... Spero sia davvero nulla di che...»
La guardai, dispiaciuta, per poi sospirare. Le presi le mani e baciami i palmi.

Notai un leggero rossio sulle sue gote e, questo, mi fece pensare a quanto fosse tenera.
«Tranquilla, non è nulla di grave. Dobbiamo fidarci di quei due e, poi, sappiamo entrambe che avevavno solo bisogno di un po' di tempo da soli, per chiarirsi.» Dissi l'ultima parola facendo un'espressione pervertita e, vedendomi, Sonia rise.

Ero la persona più felice su questo pianeta quando la donna che amavo rideva. Nessuno avrebbe mai potuto togliermi questa gioia senza che io combattessi.

* * *

Thomas

Superare il cancello di casa mia, anzi, della mia vecchia casa, mi sembrò surreale. Come se stessi vivendo una illusione.
Notai come la neve avesse coperto l'erba e gli alberi spogli che affianca ani il vialetto, rivestito da delle lastre di pietra bianca.

Quando osservai la facciata della villa, mi sembrò estranea, nonostante fossi cresciuto guardandola ogni giorno.
Feci solo qualche passo, quando mi fermai senza proseguire.
Davanti a me, Mary e Chuck stavano andando verso quel paio di scalini che ci avrebbe portati alla porta d'ingresso, eppure i miei piedi erano ancorati al suolo.
Sentii qualcosa da dietro sfiorarmi la mano e, quando mi voltai, vidi il viso angelico di Newt.

«Tommy, tutto bene?» Mi chiese dolcemente, portando la mia mano dietro la schiena e stringedoka leggermente, come per infondermi coraggio.
Sentivo un freddo gelido avvokgere il mio corpo, ma il calore della mano di Newt, secca a causa della bassa temperatura, risultava essere bollente. Di un calore che mi dava solo conforto e forza.
Annuii leggermente e, in seguito, mi voltai di nuovo verso l'abitazione.

Per un attimo, mi sembrò di vedere un piccolo bambino dai capelli scuri, correre da fuori quella casa, rincorso da un cagnolino e una bambina dai buffi codini. Mi soffermai su quella bambina e, notando il suo viso allegro, una forte stretta colpì il mio cuore.
Scuotei leggermente il capo, prima di lasciare la mano di Newt e andare con passo spedito verso quella porta.

Chuck, vedendoci arrivare, tirò un forte sospiro, suonando poi il campanello. Da dietro quella porta, si sentì un leggero tonfo e dei passi che, velocemente, stavano andando verso l'ingresso.
Una mano girò la maniglia e, quei secondi che la porta impiegò per aprirsi, mi sembrarono anni.

Anni in cui dovetti sopprimere chi io fossi veramente.
Anni in cui non ebbi mai una scelta.
Anni in cui il vero me stesso non era accettato.
Anni da cui ero fuggito ma che, come il karma voleva, dopo poco tornai.
Che brutto gioco il destino.

Chuck e Mary mi coprivano la visuale, così come tutto il mio corpo, eppure la sua voce la riconobbi.
Un brivido mi pervase la spina dorsale e poi tutto il corpo e, da quel momento, la paura era un tutt'uno con me.
Cosa avrebbe fatto appena mi avrebbe visto?
Abbracciato?
Picchiato?
Gridato contro?
Non lo sapevo ma, dentro di me, sentii una sensazione di nostalgia udendo la sua voce.
«Dov'è? Fatemelo vedere, adesso!»

La sua voce era leggermente diversa da come ricordavo. Era più roca, più stanca più... Vecchia.
Chuck e Mary mi guardarono con la coda dell'occhio e, quando mi videro annuire, si discostarono.
Davanti a me, c'era mio padre.

Inizialmente, abbassai lo sguardo, intimorito da ciò che avrebbe potuto fare. Quando però la sua voce mi chiamò, lo alzai lentamente.
«Dylan... Sei tu? Sei veramente tu? Non è un sogno vero?» Notai i suoi occhi farsi più lucidi e, facendo qualche passo in avanti, avvicinò la sua mano al mio viso. Lo fece lentamente, quasi come se avesse avuto paura che, da un momento all'altro, sarei scomparso. Mi accarezzò il viso e, quel tocco, mi sembrò quello di uno sconosciuto ma, al contempo, un tocco lontanamente familiare.

«C... Ciao p... Papà...» Balbettai, incapace di pensare ad altre parole.
Quando udì la mia voce, ne sembrò quasi spaventano ma, in seguito, delle lacrime gli rigarono il volto e, di getto, mi abbracciò.
Barcollai leggermente, sorpreso da quell'abbraccio così improvviso.
Ricordai che durante la mia infanzia, gli unici momenti in cui ricevevo un abbraccio, era quando era il mio compleanno ma, questi, erano solo da parte di mia madre.
Quella era la prima volta che mio padre mi stringeva a sé.

Fu in quel momento che tutti quegli anni di soppressione del mio vero io, furono sostituiti da tutti quei momenti felici che mi avevano permesso di essere chi ero.
Le lacrime iniziarono a uscire dai miei occhi e, tremando, portai le mie braccia attorno alle spalle di mio padre.
Ricambiai la stretta.

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