Capitolo 15

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Quando entrai nella mia stanza, avevo un sorriso ebete stampato sulle labbra. Mi sentivo inspiegabilmente felice.

Ero steso sul mio materasso e, abbandonato sul pavimento, il mio giubbotto e le mie scarpe.

Minho non c'era, il motivo mi era sconosciuto, eppure l'odore di lacca e gel riempiva comunque la stanza.
Prima o poi avrebbero trovato il mio cadavere, asfissiato da prodotti per capelli.

Mi alzai per aprire le finestre e, mentre guardavo i raggi solari sulla neve, notai due figure parlare vicino al giardino. Erano seduti su una panchina e, per prima, notai i lunghi capelli biondi della sorella di Newt, Sonya.

Non sapevo con chi stesse parlando, ma sembrava importante.
Deciso a non fare la spia, distolsi lo sguardo e rientrai nella stanza. Notai in un angolo la mia chitarra e, in quel momento, mi venne voglia di suonare.

Purtroppo nei dormitori era vietato, così indossai di nuovo il mio giubbotto e dopo aver chiuso la chitarra elettrica nella sua custodia, lasciai i dormitori diretto al laboratorio musicale.

Ce n'erano un paio in tutto il complesso forse di più.
Io ne consocevo esattamente tre: uno vicino alle palestre, troppo lontano da dove ero io; uno vicino alla mensa, ma non volevo attraversare il giardino perché era lì che c'era la sorella di Newt; e infine quello vicino all'ufficio del professore Alby.

Essendo il più vicino, decisi di andare lì.

I corridoi erano deserti, nessun segno di qualche essere vivente. Era così... Così... Silenzioso.
Per un attimo mi fermai, con i piedi leggermente divaricati e le palpebre socchiuse.

Il silenzio è sempre stato una cosa preziosa quanto impossibile. In una società come questa, era raro trovare un luogo che non fosse rumoroso.

Mi sentivo come in una bolla, una teca o qualsiasi altra cosa che mi separasse da tutto e tutti.

Sorrisi a quel pensiero, prima di decidere di tornare a camminare.
Quando arrivai davanti alla porta dell'aula, notai che fosse socchiusa.
Rimasi sorpreso, di solito sè non erano occupate le loro porte erano sempre aperte. Allora perché era socchiusa?

Mi avvicinai alla maniglia dorata e, quando fui sul punto di aprire la porta, quella davanti al laboratorio. Era l'ufficio del professor Alby.

Voltandomi mi aspettavo di trovarmi davanti l'insegnante o comunque qualcun'altro, ma non di certo Newt.

Teneva il giubbotto tra le mani, con la sciarpa a penzoloni. La mia sciarpa.
Indossava gli stessi abiti di quella mattina ma, in quel momento, il suo collo era scoperto. E potevo vedere un paio di succhiotti violacei sulla sua pelle candida.
Stava ancora parlando con chiunque fosse all'interno. Udii solo poche parole: «Ti prego, non dire niente a nessuno.»

Non sapevo a cosa si stesse riferendo, eppure non era quello il problema in quel momento.

Mi sentivo male, come sè qualcuno si stesse divertendo a schiacciarmi il petto con un paio di stivali.
Era sul punto di girarsi così, velocemente, entrai nell'aula e mi chiusi la porta alle spalle.

Avevo la schiena contro il legno e, lentamente, arrivai a sedermi per terra. Con una mano mi copriti le labbra mentre, in quel silenzio, sentivo Newt farsi sempre più vicino.

Bussò un attimo e, appena tentò di aprire la porta, con tutto il mio corpo la bloccai.
«Ma che... Chi c'è?! Perché non mi fai entrare?!- Provò per altri diversi minuti finché, apparentemente stufo, lasciò perdere. -Sè dirai qualcosa in giro, te la farò pagare.»

Lentamente, il rumore dei suoi passi di fece sempre più lontano, finché non scomparve del tutto.

Mi faceva proprio schifo il silenzio.

* * *

Passai ore e ore in quel laboratorio.

Avevo spento del tutto il cellulare, abbandonandolo nella tasca sinistra del giubbotto, appeso all'attaccapanni vicino alla porta.

Ero seduto davanti alla tastiera e, tenendo gli auricolari collegati allo strumento, suonavo qualunque cosa mi passasse per la testa.

Mi sentivo strano, come sè stessi affogando.

Mi aveva dato fastidio, molto fastidio, vedere Newt uscire dall'ufficio del professore. Avevo capito che il loro era un rapporto stretto, eppure non mi piaceva quell'uomo.
Non capivo il motivo di quei pensieri, infondo io e il biondo eravamo solo amici.

Eppure da quella mattina, forse anche prima, ogni volta che pensavo a lui mi sentivo bene, come sè fossi davanti ad un fuoco caldo.

Probabilmente quello che provavo io era più forte dell'amicizia... Magari mi piaceva.

Eppure al solo pensiero che trovassi interesse in un ragazzo, sollevai la testa dalla tastiera.
Cosa stavo pensando?
Ragazzo e ragazzo?!
Va bene che siamo nel Ventunesimo secolo, ma io non ero gay.

Newt non mi piaceva, quello che provavo era solo un forte affetto.

Dopo essermi scrollato le spalle continuai a suonare, esattamente, Close My Eyes di Darius & Finlay.

Senza accorgersene avevo anche iniziato a cantare e, chiudendo gli occhi, mi lasciai trascinare dalle parole.

Ascoltavo meglio quando i miei occhi erano chiusi.

Ed era vero.
Quando finii di cantare, però, qualcuno mi stava guardando.

Era seduto su una sedia, vicino al mio giubbotto, aveva le gambe incrociate così come le braccia e mi guardava senza espressione sul viso.
«Cosa ci fai qui?» Mi chiese.

Mi tolsi un auricolare e, tenendo una mano sui tasti bianchi e neri, risposi.

«Sto suonando, professor Alby.»

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