Capitolo 35

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Newt

Mai mi sarei immaginato di passare capodanno così.
Per primo, Thomas contattò lo stesso autista che lo aveva portato all'ospedale e, poche ore dopo, gli furono portati i suoi abiti dentro la stessa valigia su cui era arrivato.

Mentre stavo aspettando il moro dentro la stanza, vidi i due parlare tra loro e, ad un certo punto, si abbracciarono solo come potevano fare due amici di vecchia data.
Potei notare una certa intimità tra i due, quasi come se fosse stato quell'uomo il suo vero padre e non quel mostro.

Al solo pensiero di ciò che gli aveva detto, secondo la versione del moro, potevo sentire il mio cuore avere una fitta. Istintivamente, strinsi i pugni e digrignai i denti. Come poteva un genitore essere così?

Quando Tommh rientrò, non disse una singola parola, semplicemente lasciò la valigia vicino al letto e sospirò come affranto mentre la apriva.
Rimase in quella posizione per alcuni secondi, finché una mia mano sulla spalla lo risvegliò da quel momento di trance.

«Tutto bene?» Domandai, inginocchiandomi al suo fianco e piegando leggermente il capo.
«Certo, non ti preoccupare.- Non mi degnò nemmeno di uno sguardo mentre parlava, e in seguito, si alzò con degli abiti di ricambio sotto il braccio.

Si poteva vedere da lontano un miglio che la su mente era affollata da innumerevoli pensieri e non riusciva a porci un ordine.
-Mi faccio una doccia e poi possiamo uscire, okay?»
In risposta, annuii ancora incerto.
Quando si chiuse la porta alle spalle, guardai la borsa che gli era stata portata e, tra tutte le felpe, notai una lettera bianca spuntare leggermente.

La guardai e, in seguito, la presi tr alé mie mani.
Era da per te del padre.

* * *

Circa un'ora dopo, uscimmo.
Mi aveva portato in diverse zone della città e mai avrei potuto immaginare una giornata più spettacolare.
Per primo, mi aveva portato al Museum of Modern Art, appunto perché avevo sempre voluto visitarlo.
Rimanemmo lì per quasi due ore, commentando diverse opere e, spesso, prendendole anche un po' in giro. Fu un sollievo vederlo ridere alle mie stupidaggini, mi sembrava di essere tornato alla normalità.

In seguito andammo a fare un giro a Central Park, dove facemmo una lunga passeggiata e mangiammo uno spuntino in un chioschetto. I colori invernali e la neve sui prati rendeva tutto molto più poetico, ecco perché feci molte foto e, in alcune di esse, riuscii a immortalare un sorriso timido del bruno. Anche lui ne fece molte e, in seguito, grazie a un passante potemmo avere una foto insieme, con come sfondo la neve candida e bianca, mista agli alberi spogli.

Mentre passeggiavamo nel vasto parco, Tommy mi sorprese quando prese la mia mano con la sua. Non sembrava che gli importasse più delle persone intorno a noi e, per un attimo, ne fui completamente felice. Eppure una voce nella mia testa continuava a ripetere che qualcosa non andava. Eppure cercai sempre di ignorarla e di godermi il momento. Per nulla al mondo me lo sarei lasciato sfuggire.

Quando iniziò a farsi sera, Tommy mi portò in un ristorante che, inaspettatamente, si rivelò essere di lusso.
Le pareti erano bianche, e alcune zone erano coperte da uno strato di velluto rosso. Eravamo su uno degli ultimi piani di un grattacielo e, delle tende in seta erano messe di lato così che si potesse osservare il panorama magnetico.

Quando però vidi i prezzi sul menù, sentii il mio stomaco chiudersi, eppure lui non sembrò farci caso.
«Tommy... Tommy!» Lo richiamai, nascondendo il viso con il menù, anch'esso ricoperto di velluto. Mi sembrava di vivere un episodio di The Crown.
«Dimmi, che c'è?» Mi chiese, ridendo leggermente vedendomi nascosto e in difficoltà. «Ma dove mi hai portato? Come potremmo pagare per dei piatti del genere? A mala pena mi posso permettere la pizza del kebabbaro vicino al Motel.»

Gli dissi sussurrando e, in risposta, lui ridacchiò, scuotendo poi il capo.
«Non preoccuparti. Il direttore è un amico di mio fratello che mi conosce sin da quando ero piccolo.» Spiegò e, come se lo avesse evocato in qualche modo sinistro, un uomo si avvicinò al nostro tavolo.
«Dylan, da quanto tempo! Finalmente sei tornato, come stai?» Disse un uomo sulla quarantina, alto e dalle spalle larghe. Era la perfetta reincarnazione di un imprenditore di successo. Per un attimo, immagini Thomas in quella veste.

E sì, sinceramente, pensai sarebbe stato estremamente sexy. Ma non era il momento per pensare a certe cose.

Mentre si alzava dal tavolo, ebbi l'occasione di squadrare Tommy per bene e altri pensieri perversi infettarono la mia povera immaginazione.
Per l'occasione, aveva indossato un paio di jeans eleganti e scuri, con sopra una camicia grigia chiaro. Aveva le maniche arrotolate fino al gomito e alcuni bottoni del colletto sbottonati. I suoi occhiali gli conferivano un'immagine da intellettuale... Da possibile CEO sex... No, non dovevo dirlo, dovevo tenere a freno certi pensieri.

Strinse la mano dell'uomo davanti a lui e, in seguito, si abbracciarono.
«Will, come stai? Scusa se non sono venuto a trovarti prima, ma sai... Problemi.» Disse semplicemente e, in risposta, l'altro annuì con fare affranto.
In seguito spostò lo sguardo su di me e, sorridendomi, mi si avvicinò.
«Salve, io sono William Scodelario, lei invece è..?»

Sentendo il cognome della persona di fronte a me, sentii le ginocchia tremare mentre mi alzavo per salutarlo. La sua catena di ristoranti, con persino due stelle Michelin, era rinomata in tutto il mondo. Quell'uomo era stato persino in televisione, con un programma tutto suo.
Ma soprattutto, quel cognome mi era familiare: era quello dell'amica di Tommy... Teresa. Possibile che fosse sul fratello?
«Salve... Io sono Newt Sangster e sono un amico di Tom... Di Dylan.» Quel nome mi suonò estremamente sbagliato sulle mie labbra, ma cercai di scacciare quella impressione.
Thomas mi si avvicinò, mettendo un braccio attorno alle mie spalle e avvicinandomi a sé.
«Diciamo anche più di un amico.» Ammise davanti a Will. Guardai il suo profilo esterrefatto, cosa era cambiato in lui a tal punto da infischiarsene dei pensieri altrui?Infondo erano passati pochi giorni da quel discorso che avevamo fatto sull'aereo... In così poco tempo, lui stava cambiando, ma non capivo ancora se in meglio o peggio.

«Oh ma davvero? Finalmente ti sei trovato qualcuno, Dyl! Pensavo saresti rimasto da solo per sempre. Tessa ne sarebbe felice...- Sussurrò le ultime parole, abbassando il capo. In seguito si riprese subito, rivolgendosi a me. - Ma il tuo accento... Sei britannico, per caso?» Mi chiese curioso e, per rispondere, annuii.
«L'ho conosciuto a Londra, nella nuova scuola.» Spiegò Dylan.

Era così aperto e tranquillo con quest'uomo, quasi come se fosse stato suo fratello.
«Ah, capisco... Beh, vi lascio magiare e, un'ultima cosa, non fatevi problemi per il conto. Dylan e Newt, siete i benvenuti qui.» Salutò entrambi e in seguito si allontanò verso le cucine.

Quando ci risedemmo, guardai il bruno con gli occhi sgranati e, non capendo, lui alzò le spalle.
«Ricapitolando... Ho appena conosciuto un uomo famoso a livello internazionale, hai fatto coming out come se nulla fosse e, sopratutto, non dovremo pagare nulla?- Alzando un sopracciglio, gli puntai un dito contro. - Chi sei Thomas Edison.» Dissi scherzosamente.

Rise ancora una volta. Quel sorriso mi rincuorò e cancellò tutte le lacrime che gli avevo visto versare in quella piccola stanza del Motel. Era tornato il Thomas Edison che avevo conosciuto mesi fa.
Era da egoisti desiderare che il tempo si fermasse a quel momento? Forse sì, ma non mi importava. Gli presi la mano e la portai nella mia tasca.

Different /Newtmas' AU/Where stories live. Discover now