Capitolo 33

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Chuck

Quando rientrai nella stanza, Mary era seduta su una poltrona e guardava i suoi piedi con una espressione esterrefatta. Come me, non poteva credere cosa fosse appena successo.
Mio padre, d'altro canto, stringeva la mano di sua moglie ma, potevo benissimo vedere, che la sua testa era da tutt'altra parte.
La rabbia, la mia, però fu molto più forte.
«Ti rendi conto di quello che è appena successo?!» Dissi, sbattendo la porta alle mie spalle e spaventando Mary, che saltò sul suo posto.
Lei mi venne subito incontro, poggiando le sue mani sulle mie spalle.
«Chuck, non ora... Lasciamolo in pace...» Mi sussurrò, cercando di tranquillizzarmi.

La guardai, senza dire una parola, prima di spostarla dolcemente e avvicinarmi a mio padre.
«Quindi? Non mi rispondi?!- Strinsi i pugni. -Come puoi odiare così tanto il tuo stesso figlio?! Per una volta ha voluto fare quello che desiderava e, tu, che tanto parli di libertà, reagisci così?!»

«Chuck...» Sussurrò Mary, una seconda volta, ma io la ignorai.
«Ti rendi conto che hai appena distrutto emotivamente un ragazzo?! E non uno qualunque, ma lo stesso che facevi sedere sulle tue ginocchia! Sei pessimo, come umano e come genitore. Sappilo.» In seguito lasciai la stanza, sbattendo la porta con fare violento. In seguito uscii da quell'ospedale, sperando che avrei trovato Dylan o, almeno, Newt a casa.

Mary

Guardavo la porta da dove era appena uscito mio marito con estrema malinconia. Stava andando tutto a rotoli, l'esatto opposto di ciò che avevo immaginato e desiderato.
Sapevo che in momenti come questi Chick doveva restare solo, ecco perché decisi di avvicinarmi a mio suocero con estrema calma.
«Richard... Sta bene?»

Lui, sentendo il suo nome, alzò lo sguardo guardandomi.
«Finalmente qualcuno che me lo chiede...- Sospirò abbandonando la mano della moglie per stroppicciarsi il viso. -Sono stanco, Marienne... Vorrei solo che tutto tornasse al proprio posto ma, invece di migliorare la situazione, l'ho solo peggiorata...-

Notai i suoi occhi farsi sempre più lucidi, ma decisi di ignorare quel particolare e continuare ad ascoltarlo.
-Ora entrambi i miei figli mi odiano e mia moglie probabilmente non si sveglierà più... Ho perso tutto ciò che contava nella mia vita. Sono solo. Ed è colpa mia.» Disse, asciugando velocemente le prime lacrime che uscirono dai suoi occhi.

Gli presi una mano e, stringendo leggermente, gli mostri un sorriso malinconico.
«Tutto si risolverà, stia tranquillo, ci vuole solo pazienza... Posso chiederle solo una cosa?- Lui annui leggermente. -Perché ha detto quelle cose a Dylan?»

Una leggera risata nervosa uscì dalle sue labbra.
«Il compito di un genitore, è quello di proteggere il proprio figlio e garantirgli un futuro stabile... È quello che io e Joice volevamo dargli ma... Ma lui ha preferito seguire il suo sogno, senza sapere a cosa stesse andando in contro.»
«Lei è sicuro di questo? Forse non l'ha notato, ma il Dylan che è venuto qui non è più lo stesso di 7 mesi fa... È maturato, è più responsabile ed è un... Adulto.»

Lui mi sorrise e, in seguito, mi stiense entrambi le mani.
«Hai ragione, Marienne ma... Non voglio che lui commetta gli stessi sbagli del mio passato.» Ammise lui, lasciandomi sorpresa.
«Cosa intende?» Chiesi, non capendo.
Lui sospirò e guardò a terra, prima di sollevare lo sguardo e guardarmi dritto negli occhi.
«Volevo essere un pittore, quando ero giovane... Ma mio padre non credette mai in me e mi creò una vita perfetta, con una moglie perfetta, un lavoro perfetto e un casa perfetta... Come un quadro.»
«E questo come l'ha fatta sentire? Ci pensi bene, perché questo è proprio quello che Dylan ha provato sentendola parlare.»

Chuck

Nessuno mi rispondeva al cellulare e, mentre cercavo continuamente di chiamare il numero di uno dei due, alla fine abbandonai i diversi tentativi e aspettai con impazienza che arrivassi a casa.
Ma quando finalmente l'auto si fermò davanti al vialetto, non c'era già più nessuno.
Dylan era fuggito una seconda volta e, probabilmente, questa volta non l'avrei mai più rivisto.

Quando entrai nell'ingresso e compresi la situazione, le ginocchia mi cedettero e caddi a terra in ginocchio. Una risata uscì dalle mie labbra, una risata nervosa.
La mia famiglia stava andando a pezzi davanti ai miei occhi e, io, non stavo facendo nulla per aiutarli.
Li avevo sempre amati con tutto il mio cuore, Mary e Jocelyne erano le donne della mia vita mentre Dylan e Richard erano le mie ancore di salvezza.
Ma ormai si erano divisi e, purtroppo, ero quasi convinto che questa volta sarebbe stato per sempre.

Sapevo bene quando Dylan fosse sensibile e fragile... Anche nostro padre lo sapeva, eppure ha comunque sfogato i suoi dolori e frustrazioni su di lui.
Ero così arrabbiato.
Anzi, furioso.

Dylan

Non so da quanto tempo stessi guardando lo stesso punto della stanza, so solo che tutto d'un tratto fuori dalla finestra c'era solamente il buio della sera. Le ore erano volate.
E Newt non era tornato.
La testa mi girava ancora, ma il dolore era più sopportabile. Per questo mi alzai dal letto e, dopo aver indossato le mie scarpe, aprii la porta della camera.
Guardai prima a sinistra e poi a destra, ma non c'era nessuno.

Un brivido mi trapassò la spina dorsale, eppure ignorai la bassa temperatura e mi avvicinai alla ringhiera. Solo in quel momento notai qualcuno steso su una delle sdraio. E quei capelli mi erano familiari.
Prendendo la chiave della stanza, scesi velocemente le scale e, quando superai il cancelletto, mi avvicinai a Newt.

Tremava come una foglia e i suoi denti battevano leggermente, mentre la sua testa si muoveva con fare agitato nel sonno. Gli accarezzai la fronte e, percependo il mio tocco, si svegliò di scatto.
«No, ti pre... Tommy, sei tu. Scusa... Come ti senti?» Mi chiese preoccupato ma, appena notai le sue labbra violacee a causa del freddo, assottigliai lo sguardo e afferrai il suo polso.
«Ora andiamo in camera a riscaldarci.» Dissi con tono secco, mentre salivamo le scale a due a due.

Non potevo saperlo, ma alle mie spalle, Newt dovette nascondere il suo rossore con la sciarpa che portava.
Quando chiusi la porta alle mie spalle, spinsi Newt sul materasso e, in seguito, tolsi le coperte e mi stesi al suo fianco, per poi coprire entrambi.
Era riuscito a mala pena a togliersi il giubbotto, quando io lo abbracciai portando la sua testa sul mio petto.
«Tommy..?»
«Continuo a sbagliare... Scusami se prima ti ho trattato così, stavi solo cercando di aiutare...- Sospirai, accarezzando la sua guancia con il pollice, seguendo i lineamenti della mascella e delle gote. -Comunque dovrei dirti cosa è successo questa mattina... In pratica...»

Gli raccontai tutto, senza risparmiare dettagli. Sentii un vuoto al centro del petto mentre ricordavo tutto ciò che Richard mi aveva sputato addosso. Eppure mi sentii subito meglio appena avvertii una stretta attorno alla vita da parte di Newt.
Forse avrei potuto trovare una nuova felicità e, questa volta, sarebbe stata lui.


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