IX

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In piedi dinanzi a lei, con le braccia conserte e la testa reclinata verso la parete Joseph si chiedeva se essere lì in quel momento avesse un senso razionale, se non fosse stato troppo invasivo.

La verità era che il fastidio allo stomaco nell'immaginarla da sola e la folle necessità di rivederla lo avevano condotto direttamente a lei, la sua boccata d'aria da tutti quei frastuoni che gli stavano consumando la testa.

«Te piace?» la guardò mangiare imbarazzata.
«Sì, Jo. Ma non avresti dovuto» scosse la testa, osservandolo gironzolare per casa e afferrare qualche libro.
«Mati', me rodeva che stavi qua da sola» concluse lanciandole uno sguardo come a dirle va bene così, lascia fare.

«Che me fai fare» rise trovando una soluzione per lenire il suo imbarazzo.
Il solito cenno del capo, per dirle di sedersi sulle sue gambe e poi aveva portato la forchetta alla sua bocca.
«Facciamo come i bambini Mati'» in risposta, due occhioni sgranati a guardarlo mentre si allungava per prendere un sorso d'acqua.
«C'hai paura a fa tutto, ma che t'hanno fatto?» sussurrò contro i suoi capelli interrogandosi sul perché di quei modi di fare sempre in trepidazione, come se tutto fosse passibile di giudizi irremovibili.
«Non mi va più Jo» disse, facendogli posare la forchetta all'interno del piatto, assecondandola nella richiesta.

Lei non parlava molto, ma le sue movenze erano un libro aperto. Erano i piccoli gesti ad aiutarlo a decifrarla, ad innalzarsi al di sopra delle apparenze.
Il suo costante mordicchiarsi il labbro inferiore, l'esitazione delle mani nell'avanzare verso le sue guance, le parole lasciate a mezz'aria ad infittire il quadro delle consapevolezze che pian piano lui andava acquisendo.

[...]
«Come è andato il pranzo?» cambiò discorso lei, iniziando a lavare i piatti.
«solite stronzate di mio padre» la seguì a ruota ponendosi alle sue spalle per stringerla dai fianchi.
«Tipo?» domandò allora, inconscia del fatto che non avrebbe ricevuto risposta alcuna.
«Tipo che sta maglietta te sta da Dio» aveva risposto lui iniziando a lasciarle dei baci lungo il collo scoperto.
Quel contatto le rallentò i movimenti, facendole stringere la spugna tra le mani mentre e sporgere quel pezzo di pelle verso le sue labbra affamate.
«Che fai te fermi?» l'aveva provocata allora ingabbiandola di più verso il lavandino mentre con le mani lavorava per tirare sempre più su l'orlo della maglietta.
«Sei un diavolo tentatore Jo» aveva detto assecondando il suo gioco e spingendosi verso di lui.
«Così dicono» le mani percorsero in salita il suo petto, arrivarono alle labbra tracciandone dapprima i contorni, per poi scegliere di ritornare sui suoi fianchi per farla voltare.

E lei lo fece, si voltò verso di lui per abbandonarsi completamente ai suoi baci.
Si aggrappò alle sue spalle mente lui senza sforzo la metteva seduta sul ripiano della cucina sfilandole la maglietta.
«Mamma mia Mati'» aveva detto quando lei, l'aveva attirato a se' dalla cinta dei pantaloni superando i limiti del  pudore che si era imposta.
«Andiamo di là, sì?» l'aveva invitata a spostarsi. Poi la rottura del filtro magico.
Il trillo del citofono e lo sguardo attonito.

«Cazzo» Matilde aveva imprecato portandosi una mano sulla fronte e recuperando l'indumento rimosso qualche minuto prima.
«È mio nipote, mio fratello fa le notti e lo lascia da me tutte le domeniche» gli aveva detto correndo verso lo specchio per controllare che tutto fosse in ordine.

Oh cazzo.
Se avesse potuto Joseph si sarebbe accodato a lei nell'imprecare a voce alta.
Optando mentalmente per l'opzione di darsela a gambe.

Troppo tardi
aveva pensato quando un esserino che a stento gli arrivava alla vita si era avvicinato a lui.
«Mi dispiace» aveva mimato lei da dietro, imbarazzata dalla reazione del nipotino che era corso tra quelle braccia sconosciute.

Troppo tardi Mati', c'ha gli stessi occhi tua.

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