CAPITOLO 3: La tua ruota girerà...

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"Quando indietro non si torna, quando l'hai capito che... che la vita non è giusta come la vorresti te; quando farsi una ragione vorrà dire vivere; te l'han detto tutti quanti che per loro è facile, quando batte un po' di sole dove ci contavi un po', che la vita è un po' più forte del tuo dirle: "grazie, no...", quando sembra tutto fermo, la tua ruota girerà... sopra il giorno di dolore che uno ha... tu ru ru, tururu, tu ruuuuuu ru ru..."

Non riuscivo a dormire così ho messo della musica. Devo tutto alla musica, in molti casi mi ha impedito di affondare. Ad ognuno di noi sarà capitato di ascoltare per caso una canzone che, inspiegabilmente, sembrava raccontare per filo e per segno tutta la nostra vita. E allora ti lasci coccolare. Dovrò davvero farmi una ragione per continuare a vivere? Ma chi cazzo vive più? Io al massimo sopravvivo. Cazzo, Schopenhauer e Leopardi in confronto a me erano degli ottimisti, perfino Leopardi, nonostante i paramorfismi della sua colonna vertebrale. Spengo lo stereo, mi faccio una rapida doccia e torno in ospedale. Se devo ricominciare a vivere tanto vale iniziare dal mio lavoro.

"Dottoressa Bocci?"

"Si?"

"Il signor Riccardo Celetti si è svegliato, l'ho visitato poco fa, tutto bene. Quell'uomo sembra forte come una montagna. Tuttavia gli ho prescritto comunque le solite analisi di routine, le ho mandate ad analizzare"

"Bene, quindi non c'è bisogno che passi a visitarlo?"

"Se lo ritiene opportuno faccia pure, tuttavia sappia che ho svolto il tutto con la massima cura"

"Non ne dubito Antonio. Grazie per avermi avvisata!" dico, salutando il mio giovanissimo collega.

Vado nel mio studio. Avevo una gran voglia di vederlo ma anche una grande paura; paura di leggergli nel volto quello che penso provi per me: odio, disprezzo, rancore. No, non posso farcela, ci rinuncio. Inizio il mio giro di visite. Tengo molto ai miei pazienti, mi piace stabilire con loro un rapporto più umano che professionale; sono innanzitutto persone prima di essere pazienti così come anche io sono innanzitutto una persona prima di essere un medico.

"Me dispiace molto de lascià l'ospedale sa? Co' na dottoressa bella e dolce come lei me sarei trattenuto più che volentieri!" disse Eugenio, il mio simpatico vecchietto che aveva subìto, giorni prima, un intervento al femore.

"Ma non dica così, potrà venirmi a far visita tutte le volte che vorrà. Visita di cortesia, sia ben chiaro. Non faccia altri giochetti con queste gambe; il paracadute lo dimentichi per un po'..." gli dico sorridendogli.

"Eh lo so signorì, nun c'ho più l'età" sorride.

Io sorrido con lui. Ad un certo punto lo vedo smettere di ridere e concentrarsi su di me; mi osserva, non so per quanto e non capisco perché. Ora inizio a sentirmi in ansia. Lo fisso a mia volta con aria interrogativa ma non dico nulla. Sembrava lo sguardo di un nonno, beh almeno credo. I miei nonni non li ho mai conosciuti quindi non posso saperlo; se dovessi immaginarmelo, però, lo immaginerei così.

"Dottorè, glie posso fa 'na domanda?"

"Certo..."

"Ma lei, quando torna dal lavoro, ce l'ha qualcuno che l'aspetta a casa?"

Rimango di stucco, perché diavolo me lo avrà mai chiesto?

"Ehm, no. No io aspetto ancora il principe azzurro" dico, cercando di buttarla lì sul ridere

"L'occhietto moscio su un ber visetto come er suo nun sta tanto bene sa? Me dia retta, Se lo pigli pure nero er principe, che de fantasmi nun se vive..."

Merda, non poteva essere così evidente; tuttavia sorrido e lui mi ricambia dopodiché va via aiutandosi con le stampelle dopo avermi dato una leggerissima pacca sulla guancia, quasi una carezza.

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