CAPITOLO 4: Se la bomba non scoppia...

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Torno nel mio studio sconvolta. Chiudo rumorosamente e in fretta la porta dietro di me e non mi rendo conto che sto trattenendo il respiro. Butto fuori l'aria dopodiché faccio qualche esercizio di respirazione: inspiro col naso, espiro con la bocca... una, due, tre volte fin quando non inizio a calmarmi o, quanto meno, a smettere di tremare. In fondo una reazione così me l'aspettavo; forse non proprio di questa intensità ma me l'aspettavo. Tra l'altro, era proprio per questo che non volevo affrontarlo. Ripenso alla nostra conversazione: non aveva usato mezzi termini, mezze frasi... no, mi ha sbattuto in faccia tutto quello che pensava, tutto il suo rancore. Non posso fargliene una colpa, in fondo ha ragione. Ho avuto definitivamente la conferma che mi odia; il ricordo del suo amore e la speranza che, in fondo, anche lui provasse ancora qualcosa per me mi avevano dato la forza di andare avanti. Adesso sono K.O.

A peggiorare la situazione è la questione delle lettere. In tutti questi anni non ho mai ricevuto una sua lettera o meglio, nessuna lettera era mai arrivata nelle mie mani. Dopo la partenza di Riccardo mi sono iscritta all'Università e, nonostante casa dei miei si trovasse già a Roma, me ne andai lo stesso. Ovviamente ho dovuto combattere: mio padre, i miei fratelli, tutti erano contro di me. Solo mia madre sembrava capirmi ma, come me, era troppo debole per imporsi. Io però, dal canto mio, dovevo andare via; ho lottato con tutte le forze per farlo perché dovevo, dovevo davvero. Ovviamente Riccardo non poteva sapere del mio trasferimento. Fatto sta che, se davvero mi ha spedito delle lettere e io non le ho mai ricevute, credo sia arrivato il momento che qualcuno a casa mia mi dia delle spiegazioni, e anche in fretta. Stavolta faccio venire giù il mondo, lo giuro. Da questo momento inizia seriamente il mio lavoro su me stessa: in passato ho sempre lasciato correre ma adesso no, ora basta. Nessuno deve permettersi di intromettersi nella mia vita e, se in passato sono stata troppo debole per impedirlo, da oggi si cambia musica. Il momento di tacere è finito: ora tutti dovranno parlare quant'è vero Iddio. Chiunque, oltre me, sia stato la causa della mia infelicità deve sputare fuori tutto quello che sa. Attendo con ansia che il mio turno finisca. Al mattino, lascio l'ospedale, entro in macchina e mi dirigo verso casa dei miei e mi rendo conto del fatto che, già da adesso, tremo di rabbia. Parcheggio, suono il citofono.

"Giulia tesoro, che sorpresa! Entra..."

"Ciao mamma" dico dandole un leggero bacio sulla guancia. In fondo lei è una vittima, proprio come me.

"Dov'è tuo marito?" dico senza parafrasare.

Mia madre mi guarda aggrottando le sopracciglia.

"Qualcosa non va, tesoro?" chiede.

"Dimmi solo dov'è o lo cercherò da sola"

Stranita dai miei modi e dal mio tono, mia madre non parla e non si muove così, impaziente, mi avvio come una furia verso il soggiorno. Eccolo lì, seduto sulla sua poltrona a leggere il giornale. Gli darei fuoco in questo momento. Alza gli occhi e mi vede.

"Ciao Giulia"

"Dove sono le lettere che Riccardo mi ha spedito dopo la sua partenza dieci anni fa?" chiedo.

"Cosa?"

"Hai capito benissimo per cui non lo ripeterò un'altra volta. Ti consiglio vivamente di darmi quelle dannate lettere!"

"Innanzitutto calmati e non ti permettere di parlarmi così" dice col suo solito tono da tiranno, ignorante, maledetto bastardo.

"Io non mi calmo affatto. Come cazzo ti sei permesso, eh? Come? Cristo Santo!" urlo.

"Chi te lo ha detto?"

"Ha importanza? La vera domanda qui è un'altra: perché se la destinataria di quelle lettere sono io queste non sono in mio possesso?"

IndelebileWhere stories live. Discover now