CAPITOLO 10: Via

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Punto di vista di Giulia

Dopo aver inviato il messaggio a Francesco spengo il cellulare, prendo le poche cose che voglio portarmi dietro ed esco di casa. Voglio andarmene da qui, da lui, dai miei ricordi, da tutto. Voglio andarmene lontano dove i ricordi non possono raggiungermi, dove mio padre e i miei fratelli non possono più tormentarmi e dove Riccardo non può più trattarmi come un sacco vuoto. A Francesco ho detto la verità, mi sento proprio come quel giorno: quando ho perso nostro figlio il mondo mi è crollato addosso schiacciandomi definitivamente. Vivere o morire a quel punto non faceva alcuna differenza per me. Schiacciata da tutto quel dolore cercai di togliermi la vita assumendo una quantità spropositata di sonnifero. Ricordo solo la sensazione di quando le forze, pian piano, abbandonavano il mio corpo dopodichè il buio, il buio più totale.

Al mio risveglio ricordo che c'era Francesco a vegliare su di me. Non c'era nessuno della mia famiglia, nemmeno mia madre. Francesco mi spiegò che non le aveva detto nulla, che mia madre aveva tentato di telefonarmi sul cellulare ma che le aveva risposto lui dicendole che dormivo perchè troppo stanca a causa dello studio. Lo ringraziai per questo, in fondo fu un bene che mia madre non l'abbia saputo, non avrei saputo come affrontarla. Ad essere sincera non vado fiera del mik gesto. Fermo la mia macchina fuori dalla stazione Termini e mi dirigo all'interno. E' l'una e quarantacinque del mattino, dubito che ci siano treni a quest'ora, tuttavia non mi importa, non mi va di stare a casa per cui aspetterò qui. Non ho neanche un bagaglio, niente. Con me ho il cellulare spento, il portafogli, le chiavi e delle piccole immaginette in bianco e nero. Già, quelle le avevo portate; le immagini del mio bambino, il mio piccolino mai nato.

Mi siedo sulla panchina di un binario qualsiasi e inizio a guardare le immagini; era la mia prima ecografia. Il giorno che andai dal ginecologo a farla c'era Francesco con me; ero così emozionata che tremavo come una foglia, piangevo e ridevo insieme. Ricordo come batteva il cuore della piccola creatura che portavo in grembo: batteva forte, sembravano tanti piccoli cuoricini messi insieme e, in quel momento, provai un senso di sollievo: il mio piccolino c'era e stava bene. Avevo solo vent'anni, Riccardo non c'era eppure ero felice e volevo quel figlio. Poi purtroppo, il destino è stato crudele con me.

Inizia a piovere.

Uhm bene, va sempre meglio!

Stasera ho avuto il colpo di grazia: avevo tanto desiderato riavere Riccardo, essere di nuovo sua e invece non stava accadendo niente di tutto questo. Non c'era traccia di amore nei suoi occhi o nei suoi gesti; solo rabbia, rancore. La sua vendetta stava prendendo forma davanti ai miei occhi e io non me ne ero resa conto fino a qualche ora fa. Il suo non era amore ma solo desiderio di vendetta e io non potevo permettergli di usarmi, non potevo permettergli di sporcare i ricordi belli che ho di lui. Non ho più niente qui, a parte Francesco, mia madre e il mio lavoro non ho più niente per cui valga la pena restare e, per quanto mi addolori lasciarli, devo andare via.

Guardo l'orologio, le 2.20. Sono sempre più disperata. Ma cosa sto facendo? Non so neanche dove andare. Sono un medico, so perfettamente cosa mi succede:

Sono in evidente stato di shock! Penso in un attimo di lucidità, poi di nuovo la confusione si impossessa della mia mente.

Sento in lontananza il fischio di un treno, guardo il tabellone:

Treno 2245 Trenitalia Provenienza: Salerno Destinazione: Milano Centrale Ore 2.45 Binario 7

Milano, perfetto. Qualsiasi altro posto è meglio che rimanere qui

Guardo il mio binario, sono al 15, devo sbrigarmi. Faccio il biglietto e mi avvio verso il binario 7. Devo andarmene, qui non c'è più niente per me, ora che anche l'ultimo briciolo di speranza nell'amore di Riccardo si è frantumato, non ho più motivi per restare.

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