CAPITOLO 27: Capanne e baracche

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Punto di vista di Riccardo


Un bambino, cazzo sarò padre. All'inizio ero confuso, mi sono chiesto come fosse possibile ma poi mi sono reso conto che non mi è passato neanche per la mente di usare precauzioni con Giulia nè, tantomeno, ho pensato a starci attento. Ecco, questo è l'effetto che mi fa: è capace di farmi perdere, perdere in lei, in noi, in tutto quello che ci circonda quando sono con lei. Il mio mondo inizia e finisce dentro di lei e quel mondo mi piace dannatamente tanto. E' ufficiale, sono pazzo e non me ne frega un cazzo di esserlo. Man mano che realizzavo la confusione scompariva lasciando il posto ad una gioia immensa e improvvisamente immagini di un bambino con i capelli neri e gli occhi marroni mi sono passate davanti agli occhi e lì mi sono reso conto che il colore dei miei capelli si intona magnificamente con il colore degli occhi di Giulia. Ho avuto paura della sua reazione. Non è la prima volta che Giulia rimane incinta di me e, dato come è finita la prima volta, ho avuto paura che non la prendesse bene. Lei però è stata capace di stupirmi ancora e, il suo sorriso di fronte alla notizia mi ha aperto il cuore; in quel momento avrei potuto mettere il mondo ai suoi piedi. E' incredibile, è la Giulia di sempre ma dentro di lei cresce un esserino e quell'esserino è nostro figlio, mio e suo. E' un ottimo modo per ricominciare, credo , e giuro sulla mia vita che cercherò di essere il padre migliore possibile. Siamo arrivati a casa di Giulia e ci dirigiamo nel suo appartamento.

Lei mi precede, apre la porta ed entriamo. La accompagno al divano e la faccio sedere.

"Vuoi una camomilla?" le chiedo.

Lei si accuccia, attira le ginocchia al petto e mi fa un'espressione che la fa sembrare più piccola di quindici anni. Capisco che è un si e vado a prepararla. Ne faccio anche per me. La raggiungo al divano e le porgo la tazza fumante. La afferra e si scalda afferrando la tazza con entrambe le mani. Io mi siedo vicino a lei.
Ora che è incinta però le cose si complicano, il medico ha detto che non deve stancarsi e, per non stancarsi, suppongo si intenda che deve anche evitare cose troppe sconvolgenti. Così il mio doverle parlare si allontana ancora di più, e per ancora di più si intende per almeno nove mesi. Devo trovare una soluzione, intanto però voglio iniziare non facendola preoccupare.

"Il mio amico, quello con cui mi sono sdebitato, si chiama Ialec, è un ragazzo polacco..." inizio a raccontarle accarezzandole i capelli nella penombra del suo salone. Lei non parla e non si muove ma so che mi sta ascoltando così continuo:

"Ialec è cresciuto con me, siamo amici fin da piccoli, è il figlio della governante di casa di mio padre. Da piccolo mi prendevano in giro perchè avevo l'aria da saputello, lui però mi difendeva sempre. Quando mia madre è morta lui mi è stato vicino più che mai. Lasciare casa di mio padre è stato doloroso solo per lui. Col tempo mio padre è riuscito a convincere Ialec a lavorare per lui; quando l'ho saputo non sapevo cosa pensare, io e lui avevamo sempre condiviso la stessa opinione su questo genere di cose.  Quando andai da lui per chiedergli spiegazioni scoprii che lo faceva per soldi: sua madre era malata, una di quelle malattie che per curarle servono un sacco di soldi. A un certo punto ci sono state delle complicazioni per cui i soldi che mio padre gli dava non bastavano più così, Ialec in preda alla disperazione, prese dei soldi che spettavano a mio padre per curare sua madre ma, ovviamente, di questo a mio padre non importava e decise comunque di dargli una lezione. La sera in cui quei bastardi aggredirono Ialec io e lui avevamo un appuntamento, dovevamo incontrarci per cercare di capire come risolvere la situazione. Quando arrivai da lui vidi altri due uomini, uno lo teneva mentre l'altro lo menava. Non ho resistito e li ho aggrediti, evidentemente non sapevano che ero figlio di mio padre perchè a un certo punto uno di loro mi accoltellò... subito dopo scapparono e Ialec chiamò un'ambulanza a nome mio, successivamente gli chiesi di andarsene..."

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