•Capitolo I

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Il gocciolio dell'acqua sul pavimento è regolare e continuo, e posso giurare di stare letteralmente impazzendo. Le pesanti catene di metallo che porto ai polsi e alle caviglie mi impediscono qualsiasi tipo di movimento; ho provato a scioglierle, ma quaggiù i miei poteri sono totalmente annullati.

Mi mordo con forza il labbro per reprimere un urlo. Sono rinchiusa qui da parecchi giorni, non ho mai visto la luce del sole né un pasto decente. Non ho più la forza di ribellarmi, sono troppo debole.

Le ferite cosparse sul mio corpo pulsano con fastidiosa intensità; provo ad ignorarle, ma so bene che stanno iniziando ad infettarsi.

Spero solo che Derek stia bene... il mio pensiero non può fare a meno di saettare verso di lui, facendomi così ritrovare la forza di sollevare il busto e provare a tranciare le catene ammuffite a mani nude.

Ma chi voglio prendere in giro... non sono forte, io sono veloce. Cosa del tutto inutile in questo momento, come al solito.

Sarei stata pronta a morire con Derek, ma ora non voglio morire di stenti. Non voglio morire in gabbia.

— Chissà come sono i sangue blu! Quei bastardi, sarà divertente vederne morire una. — ridacchia qualcuno, al di fuori delle spesse sbarre che ostruiscono la vista dell'unica finestrella. — I nobili! Pensano tutti che vogliamo vendicare il nostro sovrano. Puah! Non mi sono sporcato le mani per parare il culo ai reali! La uccideremo, ovviamente! — Eh, fantastico direi! Meglio di così non poteva andarmi.

Mi accascio a terra, priva di alcuna volontà. L'ho sempre detto di non essere pronta a governare, non riesco a rimboccarmi le maniche e a trovare la forza per uscire di qui.

Dannazione! Per la frustrazione do un pugno al muro di fronte a me, così potente che sento le nocche spaccarsi. Me le massaggio dandomi dell'idiota.

Una scodella contenente una viscida poltiglia viene scaraventata da sotto la porta. Lo scosto via senza nemmeno guardarlo. — Diverso dai tuoi pranzi reali, eh? — raglia una voce. — O questo, o muori. A te la scelta!

Con ribrezzo sposto lo sguardo, accorgendomi però di avere i crampi allo stomaco. No, non posso cedere. Piuttosto preferisco morire.

Dei lievi colpi al portone colpiscono la mia attenzione, facendomi acuire l'udito.

— Sì, vado.

L'ingresso della cella si spalanca, rivelando una figura alta, slanciata ma soprattutto in controluce. Non capisco chi sia.

Quando la momentanea luminosità diminuisce, i miei occhi ci mettono un po' per riconoscere colui che ho tanto disprezzato, temuto e mai sopportato.

— Eric. — mormoro amara; la mia voce è molto più roca e gutturale del solito. — Sei venuto anche tu per umiliarmi? Non ti facevo così vigliacco. — osservo, notando delle cinghie nella mano destra.

— Assolutamente, non vedevo l'ora di vendicarti un po' su di te, inutile strega.

Si abbassa alla mia altezza per fissarmi lacci ancora più stretti ai polsi, ma quando il suo viso è abbastanza in ombra da non essere visto dall'esterno, si avvicina al mio orecchio e inizia a parlare con voce così bassa e veloce che fatico a seguirlo.

— Ascoltami bene, questa sera sono riuscito a prendere il turno di guardia. In cinque minuti posso stendere le altre sentinelle, ma ho bisogno che tu sia in grado di smaterializzarti.

Sto per aprire bocca quando lui mi blocca. — Non parlare, continua a guardare di fronte a te. Domani avverrà la tua esecuzione, ne sei cosciente? Mangia quella schifezza e rimettiti in sesto.

AshedWhere stories live. Discover now