•Capitolo XXV

964 59 52
                                    

— Sire, non si trova da nessuna parte.

Papà stringe il pugno così forte che le sue vene si vedono pulsare sottopelle persino da questa distanza. Lo sbatte sul tavolo e, sia la guardia che io, sussultiamo. Il vaso si solleva di qualche centimetro e quando cade va in frantumi, rovesciando l'acqua e i fiori sul ripiano. Con l'altra mano si sorregge la fronte, massaggiandosela con così tanto vigore che credo voglia scavarci all'interno con i polpastrelli.

— Non lo ripeterò una seconda volta, ti avviso. Trovatela, e al più presto. Cazzo, farmi urlare così di fronte a mia figlia...

— Maestà, non vorrei insistere, ma abbiamo perlustrato...

— Allora non insistere. Via, sono stufo di te.

La guardia mi passa accanto e con un sospiro esce dalla stanza. Io, invece, rimango fissa nella mia postazione, e solo adesso mi accorgo di tremare come un fuscello. Papà... non l'ho mai visto urlare.

— Vieni qui — mormora, con un gesto sereno della mano. Indugio qualche minuto, prima di camminare verso di lui a passi corti e veloci, quasi avessi paura di ripensarci.

— Padre... — bisbiglio. — Cosa succede? E perché sei tanto triste?

Lui abbozza un sorriso stanco. — Non è nulla, patatina. Sono solo un po' stanco — mormora, prendendomi in braccio.

— E la mamma dov'è? — bisbiglio, mentre sulla sua espressione scende un velo di dolore, che però scompare all'istante.

— La mamma... ha delle commissioni da fare. Tornerà presto — sussurra, appoggiando le labbra sulla mia fronte. — Vai a dormire, è tardi.

Annuisco e mi poggia a terra, così mi volto verso la porta. — Comunque sei triste. Io so quando qualcuno è triste, e tu lo sei.

— Certo che lo sai... sei una brava bambina. — sussurra. — Vai a nanna, Abigail.

*  *  *

— Abigail... Svegliati, Abigail.

Derek preme la mano sulla mia spalla e quando inizia a scuotermi sono costretta a schiudere le palpebre, ancora pesanti di sonno. Mi apro in uno sbadiglio e mi passo una mano sul volto. Stiracchio gli arti intorpiditi e finalmente mi volto verso il mio compagno di banco. — Cosa... cosa c'è?

— Non dovevamo fare quella cosa all'intervallo?

— Oh, sì... giusto — Annuisco. Mi alzo e devo scuotere un bel po' le gambe prima di riacquistarne la sensibilità, perché in questo momento i miei muscoli sono gelati. — Bene, dove andiamo?

— Seguimi.

Derek, dietro di me, inizia a camminare e mi sospinge tenendo una mano dietro la mia schiena. Una volta in corridoio la sua andatura diviene più cadenzata e mi passa accanto, lasciando scivolare la mano fino a cingermi il fianco. Ruoto il viso nella sua direzione. — Da quando sei così esplicito? — domando, sorpresa.

Alza le spalle. — Bella domanda, Regina. Ma tranquilla, oggi risponderemo a molte domande — Mi è impossibile non roteare gli occhi al cielo per la sua reazione teatrale ed esagerata, accompagnata da un lungo gesto con il braccio libero – in realtà non so cosa intendesse fare.

La mia mente mi riporta all'altro ieri, uno dei giorni più bizzarri della mia vita. Ho come un improvviso vuoto di memoria tra quando io e Derek discutevamo, accanto agli armadietti (l'ultimo ricordo che ho è lui che mi fa lo sdolcinato con me), per poi passare a casa sua, dove ancora aveva quello strano atteggiamento – stesso discorso in fatto di romanticismo melenso. Poi ha battuto la testa ed è ritornato normale, il solito spocchioso lunatico.

AshedDove le storie prendono vita. Scoprilo ora