•Capitolo XXIII

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Il mio urlo squarcia il silenzio ancora prima che mi renda effettivamente conto che una mano è fuoriuscita dal dipinto e ha una presa ferrea sul mio braccio. Mi ritraggo scioccata e disgustata ma dopo qualche istante è tutto come prima. La mano si è ritirata nel quadro e io sembro solo una povera pazza.

Mi allontano con il cuore in gola e, dopo qualche passo incerto, corro al di fuori della stanza. Nonostante abbia percorso un tragitto molto breve ho il respiro affannoso e la bocca secca. Tossisco un paio di volte per schiarirmi la voce ma l'aria raschia contro la mia gola. Avanzo di qualche falcata e mi ritrovo di fronte allo studio di mio padre.

Devo essere naturale... ho sempre fatto schifo nella recitazione, tra di noi era Alya quella più abile a raccontare frottole. Mi mordo l'interno della guancia e appoggio le nocche sulla porta d'ebano, per poi bussare.

— È permesso? — Socchiudo la porta ma attendo comunque il consenso di mio padre per entrare. Dopo un pigro cenno della mano da parte sua, faccio il mio ingresso nella stanza.

Non l'ho mai vista così in disordine: l'enorme scrivania è sommersa da decine di pile di libri, ognuna accatastata sull'altra. Quasi non riesco a vedere mio padre, seduto dietro i numerosi tomi. Perfino gli scaffali di vetro sono straripanti di libri e liquori, mentre in fondo vedo una televisione a schermo piatto. Come se sapesse anche solo accenderla.

— Che ci fai qui? — domanda, allungando il braccio di fronte a sé e muovendolo verso destra, non preoccupandosi di tutti i libri che sta facendo cadere. — Mi pare che il tuo discorso sia in procinto di iniziare, no?

— Sì... sì, certo... manca poco. Beh, passavo di qui e ho voluto fare un salto...

— Abigail, ti stai umanizzando. Parla decentemente.

— Oh... scusa. La sala dei quadri mi ha attratto ed ero curiosa di sapere in particolare di un dipinto. Spero che tu abbia la bontà di soddisfare questo mio capriccio, padre.

— Ti ascolto. Di che quadro stai parlando?

— La tela affissa al fondo della sala. Ritrae un massacro e mi chiedevo perché esporre una scena tanto cruda.

All'improvviso un lampo si accende nello sguardo di mio padre, un lampo assopito immediatamente. Ma che io ho visto. — Ah... capisco. Purtroppo non so molto di quel quadro, devo essere onesto. L'unica cosa che mi preme sapere in questo momento, Regina, è se l'hai toccato. L'hai fatto, non è vero? — Mi precede, avendo notato la vena di panico che ha screziato il mio sguardo.

— Dunque?

— Nulla. Solo... quel quadro causa allucinazioni al tatto. Normalmente era rivestito da una teca di vetro, ma adesso è sparita.

Per qualche secondo non so cosa ribattere. — Perché è lì? — Muto il mio tono di voce che diventa più laconico.

— Perché sì, diamine. — La voce di mio padre si fa rabbiosa per un momento. — Non devi per forza essere a conoscenza di tutto.

— Invece sì, sono la Regina! Come posso regnare in un modo decente se non conosco nemmeno il mio stesso castello? — ribatto, infastidita.

— Regnare? Tu non stai regnando. Abigail, bambina, tu non fai nemmeno un decimo dei tuoi effettivi incarichi. E no, non sai ancora cosa sia reggere davvero lo scettro del potere. Non te ne sto facendo una colpa: non dipende da te, il tuo compito è sulla Terra, adesso. Sii felice di non essere a conoscenza di certe tragedie.

— Sono uscita dal castello, oggi — irrompo, — e ho visto una persona morire. Una ragazza, a dire il vero, forse era persino più giovane di me. È stato angosciante. Straziante. Ingiusto. — mormoro. — Il pittore. Chi è il pittore del quadro? — riprendo.

AshedWhere stories live. Discover now