Capitolo XXXI - Scelte (Derek)

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― Mamma?

Abigail alza lo sguardo verso il padre, che ricambia con ancora più freddezza. Sinceramente non sono mai riuscito a inquadrarlo, sarà perché diametralmente opposto a lei oppure perché neanche l'idea mi è parsa così interessante.

Men che meno sua madre. Anzi, in realtà questa è la prima volta che la sento nominare. Non mi ero mai chiesto nemmeno questo. In effetti non mi chiedo tante cose.

― Padre ― riprende, ― voglio sapere cosa sta succedendo.

Non sembra dare credito alla sua richiesta, inizialmente. Stringe lo sguardo e inspira come se per lui fosse un grande sforzo non distruggere tutto il mobilio presente nella stanza. Le guardie, entrate qualche minuto dopo di noi, sono immobili dietro di lui e lo osservano di sottecchi.

Jarred espira profondamente e si lascia cadere sullo schienale della poltrona. Poi si volta verso le guardie. ― Portatela fuori.

― Ma, Altezza...

― Ho detto ― comincia, con tono di voce già alterato, ― portatela fuori.

Le guardie non esitano ulteriormente e afferrano Abigail per le braccia che, attonita, fissa il padre. ― Padre, che diavolo fai? ― grida con occhi sgranati, mentre la trascinano verso la porta. Cerca di divincolarsi dalla loro presa ma la loro stazza e il loro numero è maggiore. Io non riesco a non alzare un sopracciglio, spiazzato. Che razza di padre riserva un trattamento del genere alla propria figlia?

Una delle guardie apre la porta e gettano Abigail al di fuori della stanza, per poi sbattergliela in faccia con un colpo secco.

Corruccio le sopracciglia e punto il mio sguardo su mio padre in cerca di qualche conferma. ― Perché? Ha fatto solo una domanda. Non mi sembrava ce ne fosse la necessità ― esclamo, seccato.

― Che cosa vuoi saperne, tu? ― riprende Jarred, ma non gli presto molta attenzione. Dedico la mia attenzione a mio padre che nel frattempo sta sospirando.

― Non ti preoccupare ― erompe. ― Jarred non odia ancora sua figlia. E lo stesso vale per me ― Rivolge un pigro cenno del capo alle guardie che si sono piazzate ai lati della porta e che, senza la precedente riluttanza, riservano lo stesso trattamento a me. Mi artigliano le braccia e mi sollevano da terra con un'imbarazzante difficoltà. Spalanco gli occhi e fisso mio padre che nel frattempo ha assunto la sua classica espressione: «Sai che ti voglio bene», o comunque una stronzata del genere la cui incongruenza mi ha sempre fatto incazzare.

― Padre, perché? ― grido, cercando di scorgere il suo volto al di là delle figure possenti delle guardie. Questi trogloditi mi gettano fuori dalla stanza con una penosa soddisfazione. Poi chiudono la porta a chiave. ― Mi prendi in giro? ― irrompo, con palese stizza.

Sbuffo con ancora lo sguardo rivolto di fronte a me, domandandomi quali possano essere i problemi di entrambi e sperando di non averli ereditati da mio padre. Ma no, è Isabelle la primogenita. C'è più probabilità che li abbia ereditati lei.

Un debole sospiro attira la mia attenzione e, poco dietro di me, Abigail ha ancora lo sguardo fisso sulla porta chiusa a chiave e questo è stranamente spento. Sembra... delusa. Mi spiace che l'abbia presa così male.

― Non te la prendere ― mormoro. ― Sono sicuro che non l'abbia fatto per cattiveria.

Alza lo sguardo verso di me e sospira ancora più pesantemente. Adesso, mentre la osservo meglio, non sembra delusa. La parola giusta è rattristata.

Si volta e inizia a camminare dietro di me senza fiatare, diretta forse verso la fine del corridoio. Scatto verso di lei e la seguo entrare nella sua stanza sotto lo sguardo incuriosito delle cameriere che stanno pulendo lì accanto. La porta è socchiusa, così la spalanco ed entro all'interno della camera.

AshedWhere stories live. Discover now