•Capitolo XXII

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Non vedevo mio padre dal giorno del mio matrimonio. Ricordo bene la delusione marchiata sul suo viso quando scoprì che l'avevo ingannato fin dal principio. Credo fosse la prima volta nella mia vita che mi disse di essere fiero di me.

Adesso non sembra adirato, sembra solo... stanco e spossato. Non porta nemmeno il suo pesante mantello reale, di un profondo rosso carminio, a cui rinuncia solo quando deve coricarsi, perché a suo dire è: "Fantasticamente da reale e umiliante per i plebei"; ora indossa una semplice giacca nera e a prima vista sembra a mala pena un nobile. Noto persino un accenno di barba fare capolino sul suo volto.

Non riesco a immaginare un valido motivo per cui mi abbia chiamato a palazzo, non riesco a capire perché la sua figura sembri così sciupata; fatico addirittura a trovare le parole per domandarglielo. Stranamente sembra notarlo, il che mi lascia spaesata, perché mio padre non è mai stato empatico nei miei confronti.

― Abbiamo avuto dei problemi.

― Qui a corte? Che è successo, padre?

Questa volta indugia prima di rispondermi; si porta l'indice sulle labbra, come per calibrare le parole che sta per dire. ― Questa volta non parlo di sommosse popolari, questo è più... particolare. Si tratta di un'epidemia.

― Eh? ― sbotto, non riuscendo a fare a meno di arricciare il naso.

― Hai sentito bene. Ormai sei sulla Terra da parecchio tempo, avrai sentito parlare di piaghe come la peste bubbonica ― mormora, mentre io annuisco con incertezza. ― Beh, nei soggetti colpiti, come posso dire... l'anima marcisce. Il che non li trasforma in noxious o in qualche sciocchezza umana, come morti viventi ― biascica, ― ma in uno stadio primordiale della loro esistenza. Qui si parla di un regresso esistenziale. Se l'anima non esiste più, il corpo è costretto ad assumerne le veci e ciò è impensabile. Il contenitore non potrà mai essere il contenuto, giusto? ― mi domanda. ― Questo insieme di corpo-anima non può esistere in nessun universo, quindi regredisce ulteriormente alla semplice idea di esso.

― In pratica la persona cessa di esistere? Quindi semplicemente muore?

― La persona non cessa di esistere, il suo corpo invece sì.

― Padre ― sospiro ― questa è la definizione di morte.

― Bambina ― sbuffa, infastidito. ― Credi davvero che non ci abbia già pensato?

― Non so, dopo il tuo vaniloquio fatico a crederlo.

― Abigail! ― sbotta. ― Ci manca solo che tu ti metta a fare i capricci. I corpi si stanno disgregando e io non ho idea di come impedirlo. ― mormora, e in tutta la mia vita sono certa di non averlo mai sentito dire una frase del genere, in cui metta a nudo le sue incertezze.

― Ma padre, ― inizio, ― tu sei molto colto, io non so come potrei esserti d'aiuto.

― Per ora non mi serve il tuo aiuto, voglio che tu tenga un discorso al regno. Devi dire le classiche frasi: "Comprendo il vostro dolore" oppure "la famiglia reale vi dona il suo appoggio". Chiaro?

― Mhm... in realtà mi pare un po' scarno come discorso. La gente muore e il popolo non vuole sentirsi dire le stesse banali frasi di circostanza.

― Il mio era solo un esempio... ― commenta annoiato. ― Mi pare ovvio che le parole devi trovarle tu. Non sei Regina solo di titolo.

Mi apro in un sorriso luminoso. ― Oh, grazie!

― Sì, certo... figurati. Ora però datti una mossa, devi preparare un discorso eccellente entro le quattro del pomeriggio.

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