•Capitolo XXIV - Fuori controllo (Avior)

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— Ma suvvia, non piangere. Non ti ho fatto niente. Non ancora — mormoro, arrotolando sull'indice un boccolo di un chiaro biondo, i cui riflessi risplendono alla luce della lampada elettrica, posta proprio sopra le nostre teste.

Lei tira su con il naso e non tenta nemmeno di arrestare il suo noioso pianto, siccome continua a strillare mentre mangia le sue lacrime, che finora le hanno reso il viso umidiccio e viscido. — Guarda, ho persino portato dei pasticcini. Se vuoi conversare con qualcuno puoi tranquillamente parlare con Miss Zuzzola — affermo, indicando la signora di tutto rispetto che siede di fronte a noi. I suoi capelli sono raccolti in amabili trecce e il suo viso pallido - le ho sempre detto di mangiare qualcosa, il suo colorito quasi grigiastro mi dà ai nervi. Si vede che tiene alla linea - è piegato in un sorriso compiaciuto, segno che approva pienamente quello che faccio, come sempre.

— Quella è una cazzo di bambola, e quei pasticcini sono di plastica! — ringhia, per poi sputarmi in un occhio.

Mi pulisco disgustato e constato che forse dovrò comprare un altro paio di guantini bianchi.

— Peccato. Sembravi quasi lei — sospiro. La luce al neon inizia a sfavillare e comprendo che un tale scenario sia perfetto per lo squallore a cui sarà sottoposto.

* * *

Certo che gli umani sono proprio strani. Imbracciano i loro zaini con sorrisi patinati, intrattengono chiacchiere superflue e non si rendono conto di quanto la loro vita sia una merda. Che schifo deteriorare, deperire fino ad annullarsi. Morire.

Alzo le spalle. Oggi Boo Boo mi è parso strano, non riesce più ad intrattenermi con i suoi discorsi filosofici sul senso della vita — gli ho sempre detto che non me ne può fregar di meno, ma lui è cocciuto su questo argomento. Se ne sta lì seduto sul muretto della scuola, infilando un tentacolo tra i raggi di una bicicletta e giocherellando con un ciondolo accanto al manubrio di schiena, quasi fosse offeso con me. — Guarda che potrei anche offendermi per la tua maleducazione — soffio dopo un po', dandogli una pacca sulla spalla. Si volta e al posto del suo viso vedo quello di Cathrin.

— Che cazzo fai? — mormora a denti stretti, liberando la sua bici dalla catena con uno strattone. Scuote la testa per liberarsi dei capelli che le oscurano i lineamenti non potendo usare le mani.

— N-Nulla. — bisbiglio.

— Ah, buono. Togliti, devo spostare la bici.

Faccio un passo indietro goffamente. — Certo. Ma ci puoi salire?

Si apre in una risata gracchiante e mi mostra con aria sprezzante il suo braccio piuttosto strano, bianco e alla vista estremamente duro. Con l'altro sorregge una stampella. — Credi di essere spiritoso? — sospira. — Lì c'è la macchina della mia tutrice. Devo solo caricarla per portarla a casa.

— Oh...

— Già, stupefacente. Ci vediamo — Alza la mano per rivolgermi un saluto rapido, dopodiché mi dà le spalle.

Ci vediamo... questo significa che desidera rivedermi! Non ci posso credere! Batto le mani e tiro un urletto, per poi dirigermi verso l'entrata della scuola. Diamine, questa giornata si prospetta fantastica.

— Ehi bello, hai sentito quello che ho detto? — ringhia un ragazzetto proprio dietro di me, con un'orripilante peluria che gli spunta in faccia. — Piantala di stare lì impalato, la gente deve passare!

— James caro, non essere così nervoso. Guarda che altrimenti non mi sposto — mormoro.

— Non mi chiamo James, idiota!

— Da adesso sì. Bene, passa una buona giornata, Jamy.

— Vaffanculo.

Ruoto il mio corpo facendo perno sulla gamba destra così da spostarmi. James sbuffa con disprezzo e sfila di fronte a me impettito. Che tipo buffo! Certo che non lo capisco proprio quando fa così.

AshedWhere stories live. Discover now