•Capitolo VI

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— No, aspetta!

Ritrovo coscienza del mio corpo, corro verso Derek. Perché? Se il nostro rapporto s'incrinerà, mio padre ne sarà l'unico responsabile. Ma tanto, a lui non importa.

— Che cosa vuoi? — domanda, infilando le mani nelle tasche dei pantaloni e osservandomi tranquillo. — Non credo ci sia altro da dire.

— Ti sbagli — La voce esce tremolante, un po' strozzata. Prendo un respiro profondo, prima di continuare: — Non so cosa sia scattato dentro di te, non m'importa. Tu mi hai sempre considerato una tua pari; prima ero rinchiusa in una misera camera d'ospedale, ma non mi hai mai guardato con occhi compassionevoli, come se avessi bisogno di protezione. È questo che mi piace di te e mi ferisce il fatto che non la pensi più così — concludo, fissandolo negli occhi.

— Tu non capisci— insiste, ma il suo sguardo vacilla nel mio, sicuro. — Quando ti farò del male, mi sveglierò da quell'incubo e non me lo perdonerò mai.

— Ehi, ma per chi mi hai preso? Mi stai sottovalutando, te ne rendi conto? — domando come offesa. — Ci penserò io a frenare le tue furie omicide. Sono ancora viva, come vedi; un po' ammaccata, ma viva — sorrido.

— No... tu non mi fermeresti, Abigail — mormora.

Sgrano gli occhi, prima di scoppiare a ridere. — Oh, andiamo, certo che lo farei. Non credo di avere ancora manie suicide — Gli strizzo l'occhio, provando a rincuorarlo. — Non uscire dalla mia vita, Derek — sussurro infine, perdendo il sorriso.

Sospira rumorosamente, abbassando lo sguardo e lasciando che ciocche bronzee gli coprano la visuale; è combattuto, lo vedo, così, per cancellare una volta per tutte i suoi dubbi, gli circondo il busto con le braccia e lo stringo a me in un abbraccio.

— Troveremo una soluzione per tutto, te lo prometto — affermo, assaporando la consistenza della sua pelle sulle mie mani. Ogni secondo si stampa nella mia mente e nella mia anima come se fosse davvero l'ultima volta. — Giselle, Cornelius... la ragazza — concludo.

Si allontana leggermente da me, giusto per necessario per guardarmi negli occhi. — Oh, per Cornelius credo di aver trovato quello che fa al caso nostro — mormora, e nello stesso istante le sue labbra si schiudono in crudele quanto sadico sorriso. Le sue iridi si gelano, diventando due lame di ferro affilatissime. — Ti vorrei al mio fianco, quando succederà — proclama, sciogliendo l'abbraccio e grattandosi il capo come imbarazzato. — Ti va?

— Certo — Annuisco, anche se non credo di aver capito a pieno cosa voglia fare. — Dovremmo andare a scuola, ora, altrimenti le nostre assenze ingiustificate si noteranno troppo. — do voce ai miei pensieri; seppur non ne sia così entusiasta dobbiamo farlo.

— Va bene fiorellino, se vuoi... se oggi abbiamo musica però, piantami un paletto nel cuore perché quel tipo è insopportabilmente zuccheroso — borbotta quasi come un bambino, facendomi ridere.

— E poi chi lo pianta a me? Spiacente, credo dovrai chiederlo a qualcun altro — affermo, dandogli una pacca sulla schiena. — Ti va bene se ci smaterializziamo? Più che altro perché non ho molta voglia di camminare — ammetto. Posa subito il suo sguardo su di me, dando vita ad un'espressione di finto disappunto. — Ehi, sono appena stata ricoverata all'ospedale! — ribatto, in mia difesa. — Un po' di comprensione verso i malati. — Scuoto la testa, prendendogli la mano e trasportandoci così al di fuori della nostra classe.

— Chi c'è ora? — domanda, spingendomi ad osservare l'interno dell'aula dal quadrato di vetro situato nella parte superiore della porta. Mi abbasso subito, cadendo quasi in ginocchio pur di non farmi vedere. Spero che la lezione sia quasi finita. — Sta' attenta, non vorresti ritornare all'ospedale — mi ammonisce, ma io continuo a guardarlo con un sorriso nervoso stampato sul viso. — Che c'è? — domanda confuso. — Oh no, non mi dire che c'è quello di musica! — sbotta; scuoto la testa, facendogli alzare un sopracciglio. — Chi allora? Oh avanti, parla!

AshedWhere stories live. Discover now